Rovigo, 7 novembre 2013 - IL 25 SETTEMBRE Andrea Salvatore è stato assolto perché il fatto non sussiste dall’accusa di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico. Il giudice per l’udienza preliminare Carlo Negri ha assolto con formula piena il funzionario del Genio civile di Rovigo dopo che l’imputato — l’unico tra 76 — aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, assistito dall’avvocato Rosavio Greco del foro di Bari. La sentenza non è ancora passata in giudicato e non si sono ancora aperti i termini per il pm Sabrina Duò per presentare eventuale ricorso, visto che aveva chiesto una condanna a due anni e 600 euro di multa. Ma Salvatore potrebbe essere l’unico imputato di tutta la vicenda assolto nel merito. L’uomo, però, proprio per quell’indagine, è tra i tre destinatari delle minacce di morte contenute in una lettera a firma della sedicente XIX Brigata nera. Con lui sono stati condannati a morte dall’anonimo anche il giudice Negri e il sindacalista della Fp-Cgil Giuseppe Franchi.

 

«SONO tre anni che siamo al centro delle critiche dell’opinione pubblica. Siamo stati giudicati prima ancora del processo vero che, forze, mai si farà. E un’eventuale prescrizione non sarà certo soluzione gradita ai miei colleghi, alcuni sono già intenzionati a rinunciarci». Rompe il silenzio Andrea Salvatore, 55 anni, originario di Urbino ma residente a Bologna con la famiglia. Funzionario al Genio civile di Rovigo, nel palazzo di vetro della Regione, si occupa di contratti, gare d’appalto, protocollo e personale.
Cosa non ha funzionato in quest’inchiesta, visto l’esito del suo processo?
«Ci sono 170 ore di filmati ripresi da una telecamera fissa sulla banca che monitorava per 3 settimane le due porte della Regione. Ma nessuno ha seguito i dipendenti negli spostamenti, infatti non compaiono i giri al mercato nel fascicolo del dibattimento. Quest’inchiesta è piena solo di “si presume”».
Vuol dire che nessuno dei suoi colleghi è un fannullone o un assentesista?
«Dico che in questo stabile lavoriamo in cento e siamo finiti tutti indagati. Tutti. Possibile? Magari ci avessero seguiti i finanzieri, forse si poteva arrivare a parlare di qualche caso concreto e sarei stato il primo a sostenere una punizione».
Ma non è stato così. Cosa è successo secondo lei?
«C’era molta attenzione sull’operato dei dipendenti pubblici, considerati privilegiati perché in tempo di crisi sono gli unici con lo stipendio garantito ogni mese. Ma qui stiamo parlando di una struttura operativa, con 5 settori indipendenti tra loro, con personale tecnico che esce per le emergenze e non sempre ha a disposizione un dirigente a cui far firmare i fogli che comunque può sistemare smaltita la chiamata».
Cosa le contestava l’accusa?
«Nove episodi in tre settimane, per un totale di 10 ore di assenza. Tutti minuti che potevo recuperare il mese successivo o scalare dal salario e che non hanno mai pregiudicato il lavoro, perché le uscite erano sempre a uffici vuoti. Qui però c’è gente che rischia per 17 minuti non giustificati».
Mai nessuno è andato a prendere un caffè al bar?
«Certo, abbiamo fatto almeno tre petizioni perché riparassero le macchinette automatiche. Il dirigente ci aveva concesso di andare al bar per il caffè».
Ha più incontrato Massimo Maneo, l’autore dell’esposto?
«No, né l’ho cercato».
Lei ha ricevuto una lettera minatoria. Che idea si è fatto?
«Credo che l’autore sia uno che ha tutto l’interesse a mantenere vivo l’argomento Regione. Ho già denunciato l’anonimo per l’ipotesi di diffamazione e esprimo solidarietà alle altre due persone citate. E’ uno scritto ricco di particolari, anche giudiziari. Con un errore».
Quale?
«Il ricorso per Cassazione del pm è avvenuto il 19 aprile, non il 10. Inoltre mi si vuole attribuire un legame con la Cgil quando sono iscritto a un sindacato autonomo, il Diccap-Confsal».
Dove ha ricevuto la lettera?
«In ufficio, è stata spedita via posta. Porta il timbro del centro di smistamento di Padova del 28 ottobre, giorno della presunta esecuzione ma a me è arrivata il 29. A casa, invece, nulla».
Ha paura?
«Ero tranquillo fino a quando non l’ho letta».
Cosa le hanno detto dai vertici regionali?
«Mai sentiti, né per le minacce, né per l’inchiesta della finanza, dopo l’assoluzione».
Sono stati presi dei provvedimenti disciplinari cautelativi verso i dipendenti indagati?
«Mai nessuno».
 

Cristina Degliesposti