Italia in prima pagina: Ali Agca e il mistero dell’attentato al Papa

Il Lupo grigio ha sempre nascosto i veri mandanti. Il Carlino del 14 maggio 1981

Nel Natale del 1983 Giovanni Paolo II visitò in carcere a Rebibbia Ali Agca. Il Santo padre non ha mai rivelato i contenuti del colloquio. Nel 2014 Agca portò un mazzo di fiori sulla tomba del Papa.

Nel Natale del 1983 Giovanni Paolo II visitò in carcere a Rebibbia Ali Agca. Il Santo padre non ha mai rivelato i contenuti del colloquio. Nel 2014 Agca portò un mazzo di fiori sulla tomba del Papa.

Bologna, 15 novembre 2015 - Partiamo dai dintorni dell’anno Mille. Da quando, finite le persecuzioni, la figura del vescovo di Roma assurge al valore universale che resiste tuttora. Anche così, gli atti di violenza contro gli eredi di Pietro compongono una lunga lista. E le lotte per il potere temporale sono uno dei detonatori più frequenti. Nell’897, nella Roma divisa tra i sostenitori del duca di Spoleto e i favorevoli ad Arnolfo re di Germania, succede che, morto Guido, la vedova si vendica dell’appoggio concesso da papa Formoso ai tedeschi nel modo più spaventoso, come un film dell’orrore, facendone riesumare il cadavere, processandolo dopo averlo rivestito delle insegne solenni e abbandonando il corpo alla furia dei suoi sgherri. La notte di Natale del 1075, mentre dice messa, Gregorio VII è imprigionato dagli uomini di Enrico IV. Lo schiaffo di Anagni, assestato il 7 settembre 1307 da uno Sciarra Colonna al suo avido avversario Bonifacio VIII è un atto pesantemente simbolico. E nell’epoca dei Borgia, sulla scomparsa di Giovanni de’ Medici, papa Leone X, aleggia il mistero di un avvelenamento. Dopo il Concordato del 1929, con cui la Santa Sede viene riconociuta come luogo di un governo straniero, la violenza fisica si abbatte sui Papi che viaggiano. Montini subisce tre attentati nel 1970: uno a Cagliari, con le pietre scagliate contro la sua auto da un gruppo di estremisti; l’altro a Castelgandolfo, lancio isolato di sassi; il terzo, e il più grave, all’aeroporto di Manila, quando è pugnalato al petto, per fortuna non gravemente, da un boliviano travestito da prete. E si arriva a Giovanni Paolo II: il 12 maggio del 1982 a Fatima – coincidenza – subisce l’attacco alla baionetta del sacerdote spagnolo Juan Maria Fernandez y Krohn, bloccato dalla Sicurezza, che accusava il pontefice di essere un agente di Mosca. Nel Natale del 1983, il Papa visitò in carcere Agca portandogli il perdono (Francesco, nonostante le richieste, non lo riceve). Parlarono a quattr’occhi, loro due soli, e Wojtyla non rivelò mai il contenuto dell’incontro. Nemmeno a Montanelli con cui ebbe una cena privata. «Di una cosa mi resi conto con chiarezza», ricordò il Papa, «Agca era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si considerava infallibile, a uccidermi. Lo sconvolgeva il dover ammettere che c’era stato Qualcuno o Qualcosa che gli aveva mandato all’aria il colpo».

«Santità, sarebbe meglio indossare una cotta antiproiettile». La richiesta era giunta, con tutta la riservatezza del caso, dal commissariato di Pubblica sicurezza della Città del Vaticano, ma anche adesso, 13 maggio 1981, mentre si accinge a uscire a bordo della papamobile scoperta dall’Arco delle campane di Piazza San Pietro, Giovanni Paolo II non indossa protezione. La folla è il suo elemento, come l’acqua per i pesci. Sono le 17 e 03, tre minuti di ritardo rispetto all’orario canonico. Come ogni mercoledì della buona stagione, il Papa terrà la sua udienza settimanale tra la gente, percorrendo un giro della piazza e fermandosi d’improvviso per benedire qualcuno o, come avviene quel giorno, facendo arretrare la sua jeep bianca per poter abbracciare una bambina. Il solito stress per le guardie del corpo del 61enne pontefice polacco. Sulla papamobile siedono il suo autista, l’aiutante di camera, il segretario personale monsignor Stanislao Dziwisz e il capo della polizia italiana della piazza. Seguono a piedi le guardie svizzere di servizio (in borghese) e gli agenti della vigilanza. «Alle 17 e 17», raccontano Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti nel loro libro ‘Wojtyla segreto’, «Ali Agca ha colpito il pontefice con due proiettili esplosi da una pistola Browning calibro 9 da una distanza di tre metri e mezzo. Il primo proiettile ha raggiunto il papa all’addome, ha attraversato l’osso sacro, è uscito dai lombi, ha sfiorato lo schienale della Fiat Campagnola bianca e ha colpito al torace la pellegrina americana Anne Ordre... Il secondo proiettile ha fratturato l’indice della mano sinistra del pontefice, gli ha ferito di striscio il braccio destro appena sopra il gomito e ha colpito al braccio sinistro un’altra turista statunitense, Rose Hall».

Un fatto inaudito. Improvviso. Enorme. Un assalto scattato mentre il Papa completava il suo giro e si avvicinava al palco. In piazza si odono pianti, invocazioni, grida di disperazione, lamenti. Molti pellegrini si inginocchiano, altri continuano a gridare che hanno sparato al papa. Ssgomento. Incredulità. Terrore nell casa di Pietro.. Hanno sparato al papa! Mentre monsignor Dziwisz riesce a chiedergli dove è stato colpito – «Al ventre» – e se gli fa male – «Fa male» – la papamobile si dirige verso l’ambulanza che staziona normalmente ai margini della piazza in caso di malore di qualcuno, e il papa viaggia a tutta velocità verso il Policlinico Gemelli, gestito dal Vaticano. Nono piano, un intervento di 5 ore e mezzo guidato via radio dal primario cardiochirurgo Giancarlo Castiglioni in volo con priorità assoluta da Milano a Roma. Alle 23 e 25 il Papa, l’atleta di Dio, grande sciatore e gran nuotatore, esce dalla sala operatoria. E’ il momento dell’attesa. La sua forte tempra fa sperare, dichiarano i medici. Il primo Papa dell’era televisiva non è l’Atleta di Dio solo a parole. Dimesso il 3 giugno, Giovanni Paolo II subirà poco dopo un secondo ricovero e una seconda operazione. Resterà in clinica fino al trasferimento a Castelgandolfo, per una convalescenza che durerà dal 14 agosto al 30 settembre. La Grande Paura è passata.

Ma, a voler essere chiari, non del tutto. Perché mano a mano che il pontefice si ritempra, montano i dubbi, le domande irrisolte. Siamo nella storia, non nella cronaca, tanto è enorme l’accaduto. Mai successo. Hanno sparato al Papa! Perché? E come sono riusciti ad arrivare a tre metri da lui? E chi e che cosa c’è dietro? L’attentatore, noto anche ai nostri servizi, libero di aggirarsi qua e là, viene bloccato subito. Lo arrestano quando ancora si trova nel colonnato. Dichiara di chiamarsi Mehmet Ali Agca. Ha 23 anni, documenti zero, è un terrorista turco, condannato nel suo Paese per l’assassinio (1979) del giornalista Abdi Ipekci, reo di dirigere il giornale filoliberale ‘Milliyet’. Appartiene al gruppo di estrema destra, nazistoide, dei Lupi Grigi, che ne ha organizzato l’evasione, dal carcere di massima sicurezza di Kartal Maltepe, zona asiatica di Istanbul. Parla, quando parla, con frasi dal tono ottuso, scentrate, ripetitive. Una specie di zombie caricato a molla. I giudici Sica e Infelisi lo interrogano per tutta la notte successiva all’attentato. Affermazioni dove non ci si raccapezza, dove si mescolano la militanza nel Fronte popolare per la liberazione della Palestina, un ordine di uccidere del capo iraniano Kohmeini e frasi del tipo: «Non intendevo uccidere il Papa». Una bella faccia tosta se addosso, alla cattura, gli è stato trovato il seguente volantino: «Io ho ucciso il Papa perché il mondo sappia . L’ho ucciso per vendicare migliaia di persone morte per le stragi che avvengono ogni giorno in Afghanistan, nel Salvador, nel Terzo Mondo». Un po’ troppo. Anche se, nel ’79, quando il pontefice viaggiatore è in Turchia, Agca invia dalla clandestinità una lettera a ‘Milliyet’ dove si legge: «Gli imperialisti mandano in Turchia il comandante di crociate John Paul II. Essi hanno paura che i turchi acquistino forza insieme con tutti i paesi islamici, nel momento in cui tentano di costruire nel Medioriente un potere economico e militare».

Non basta? Non è già disegnato il profilo di uno schizoide, e gli schizoidi non sono il materiale allucinato, preferito dalle cellule del terrorismo? Non basta perché la magistratura italiana e le potenze straniere vogliono i mandanti. Vecchia storia, ennesimo canovaccio di una strage insoluta, una delle tante. Si guarda alle responsabilità dell’Urss al cui sistema il papa ha assestato colpi formidabili; la Cia e il Kgb giocano doppi, tripli giochi, additando una fasulla la pista bulgara; e si guarda, come farà l’acivescovo di Bologna, Poma, alle avversioni «scatenate contro la persona del Santo Padre e contro associazioni della Chiesa, come fossero la causa dei ritardi della civiltà e come se fosse una prevaricazione il proclamare alto il messaggio evangelico nell sua sostanza e nei suoi immediati riflessi». Un prologo delle cosiddette guerre di religione o, più pedestremente, il richiamo al fatto che alla stessa ora fatale di quel 13 maggio, a Piazza del Popolo, il fronte abortista doveva tenere il comizio finale per il no all’abrogazione della legge 194. Dopo febbrili consultazioni nel retropalco tra Berlinguer, Craxi, Spadolini, Martelli e gli alter leader laici, la manifestazione fu sospesa. Il turbamento è grande, sconvolgente. Si sa che il presidente Pertini è stato il primo ad accorrere al Gemelli. Prevale infine la scelta di rinviare il comizio ma non il referendum, che si tenne infatti quattro giorni dopo, Ma tra i fedeli, e nell’animo dello stesso Papa, mediatore fra tradizioni e mondo nuovo, la data del 13 si imprimeva non solo per l’assalto di Agca – graziato da Ciampi nel 2000, poi di nuovo in carcere in Turchia –– ma perché era la festa della Madonna di Fatima, di cui Wojtyla era devotissimo. Fu lei a salvarlo, come sancì il cardinale Ratzinger, nominato alla fine del 1981 prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che vide nella veste bianca del papa macchiata di sangue il segno del Terzo Segreto della Vergine apparsa nel 1917. Fu lei a deviare le pallottole dagli organi vitali. Sicché, in occasione di un anniversario dell’attentato, il Papa fece incastonare sul capo della statua di Fatima un terzo proiettile della Browning. Mistero nel mistero. Nessuno ne sapeva niente, Wojtyla, per non aumentare le tensioni, non ne aveva mai parlato. Dunque i colpi furono tre e non due? E gli attentatori sarebbero stati due e non uno? Il mistero resta. Nè un corpetto antiproiettile avrebbe salvato per sempre il Papa. Le stragi moderne hanno folle di imitatori.