L’Italia in Prima Pagina, i tormenti di papa Paolo VI: la guerra in Vietnam, il disarmo, la fame

L’accorato appello alla pace di fronte all’assemblea Onu: la prima pagina del Carlino del 5 ottobre 1965 (guarda)

La storica foto di Mick Ut  che ritrae Kim Phuc,  la bimba bruciata dal napalm l’8 giugno 1972 in Vietnam

La storica foto di Mick Ut che ritrae Kim Phuc, la bimba bruciata dal napalm l’8 giugno 1972 in Vietnam

Bologna, 15 settembre 2015 - Giovanni Battista Montini fu il papa delle prime volte. Un record fra i pontefici. Un dato che svela più di quanto non sembri, poiché incrocia atti solenni rimasti ben incisi nella storia del papato con gesti che nell’era odierna delle comunicazioni totali ci appaiono di normale amministrazione. In fondo, forzando un poco, anche questa delle prime volte è una caratteristica che fotografa Paolo VI, da un lato i suoi interventi nella quotidianità delle abitudini, dall’altra il suo muoversi tra i confini più ardui del cattolicesimo. Montini fu il primo papa a prendere l’aereo, il primo a tenere un discorso davanti all’assemblea delle Nazioni Unite (tutti presenti, tranne l’allora comunistissima Albania di Enver Hoxha), il primo a recarsi in pellegrinaggio in Palestina (era il gennaio del 1964, e fu il suo primo volo), il primo a celebrare la messa di Natale (1968) in uno stabilimento industriale, all’Italsider di Taranto, il primo a riprendere i rapporti con gli ortodossi (famosa la foto dell’abbraccio con il patriarca Atenagora), il primo a visitare tutti i cinque continenti, il primo (1964) a rinunciare all’uso della tiara, mettendola in vendita per donare il ricavato ai poveri dell’India. Il cardinale di New York, Spellman, diede vita per l’acquisto a una sottoscrizione di oltre 1 milione di dollari, e il prezioso triregno è ora conservato nella cattedrale dell’Immacolata Concezione a Washington.

Ma le decisioni introdotte da papa Montini toccano in profondità la natura della Chiesa: è lui che nel 1968 indice la prima Giornata mondiale della pace, che da allora si terrà ogni 1° gennaio; è lui che, nel 1966, dopo quattro secoli e tra le obiezioni dei prelati più tradizionalisti, elimina l’Indice dei libri proibiti; ed è ancora lui che fonda, nello stesso giro di tempo, il Segretariato per i non credenti, il Pontificio consiglio per i laci, il Sinodo dei vescovi, al cui interno i massimi rappresentanti dell’episcopato affiancano il papa nelle sue decisioni, e la Congregazione per la dottrina della fede, con cui veniva ridisegnato il vecchio Sant’Uffizio. Quanto poi Paolo VI fosse sensibile alle questioni della pace e del rifiuto di qualsiasi forma di violenza armata, lo si coglie alla fine in una decisione che non è solo di facciata: nel 1970, in occasione della fine del potere temporale della Chiesa, vengono sciolti tutti i corpi dell’esercito pontificio. Sopravvivono solo la Guardia Svizzera e la Gendarmeria, incaricata dell’incolumità papale.

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ANNO difficile il 1965. Pieno di spigoli, di contrasti sociali, di segni di flessione economica in Italia, ma anche di conflitti militari che dividono le opinioni pubbliche del mondo. E’ l’anno della prima, poderosa escalation americana nella maledetta guerra del Vietnam, che si concluderà solo 10 anni dopo. E dà qualche disagio ricordare che mentre Paolo VI tiene il suo accorato appello alla pace di fronte all’assemblea dell’Onu – era il 4 ottobre di cinquant’anni fa, festa di San Francesco –, poco distante il cardinale newyorkese Francis Joseph Spellman (lo stesso, come si legge nella scheda in alto, che acquistò la tiara messa in vendita dal papa per le missioni africane) benedice i 360mila soldati in partenza per il fronte, ammonendo che «gli Stati Uniti combattono una guerra santa, e voi state servendo non solo il vostro paese, ma servendo Dio». Vi è, in questa immagine di quella giornata straordinaria, memorabile, l’essenza delle contraddizioni e delle spinte contrapposte (e delle amarezze dell’anima), che segnano i quindici anni del pontificato dell’uomo nato in provincia di Brescia nel 1897, morto nel 1978, beatificato da papa Francesco il 19 ottobre del 2014 e cresciuto tra la guida spirituale degli universitari cattolici, la collaborazione con Pio XI e Pio XII alla segreteria di stato e la carica di arcivescovo di Milano.

La satira storpiò volentieri il suo nome papale in Paolo Mesto, per via dell’espressione del suo volto e di quel che di angoscia che spirava dalla sua voce (vengono in mente il cardinale Carlo Borromeo, l’età della Controriforma, un cristianesimo poco gioioso ma rigorosamente attento ai fatti e ai principi). Se però ritorniamo sulle parole iniziali dell’appello con cui Montini, primo papa della storia, aderiva all’invito del segretario dell’Onu, il birmano U Thant – l’assemblea era presieduta da Fanfani – tocchiamo subito con mano come il pontefice «inchiodato alla Croce» secondo la definizione di Ratzinger possieda prima di tutto la virtù della fede diretta, esplicita, senza arzigogoli: «Voi avete davanti un uomo come voi, egli è vostro fratello... Egli non ha alcuna potenza temporale né alcuna ambizione di competere... Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata».

Se fossimo stati nei ‘Promessi Sposi’, Montini, dopo quell’esordio, avrebbe forse abbracciato i rappresentanti dei 140 paesi presenti nel Palazzo di Vetro esattamente come il cardinal Federigo abbraccia nei ‘Promessi Sposi’ l’Innominato in lacrime (Manzoni, con Dante, fu uno dei suoi autori preferiti; e spesso si faceva leggere brani dell’uno o dell’altro dal suo segretario particolare, monsignor Macchi). Ma sulla mitezza del pontefice, sulla sua predilezione per i toni raccolti, per una retorica della riflessione, i delegati non poterono contare troppo. Già un anno prima, a Bombay, Montini aveva chiesto ai potenti del mondo di devolvere una parte delle spese militari «per la soluzione dei problemi che colpiscono i diseredati». E qui, nel pomeriggio newyorkese, le parole sono addirittura lancinanti: «Voi attendete da noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non più gli uni contro gli altri, non più, non mai... Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce , con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità». All’ostilità cui la Chiesa va sempre più incontro, negli anni ’60 delle rivolte giovanili, della crisi dei missili di Cuba scoppiata tra Unione Sovietica e Stati Uniti, dell’assassinio del leader nero Malcolm X e del presidente Kennedy, dell’invasione di Praga da parte dei carri armati di Mosca e della corsa alle armi nucleari... a quel mondo ostile Montini trasmette il suo messaggio, a un tempo profetico e non tattico, netto e problematico. Attratto dalle teorie del personalismo francese dei Mounier e dei Maritain, egli offre alla politica – fermamente separata dalla religione – la partecipazione al compito della crescita integrale delle donne e degli uomini della terra. E’il nucleo del suo cristianesimo che Montini espone al massimo consesso mondiale, sballottato in quegli anni dalle tensioni tra i singoli stati, il suo Verbo: l’uomo è un peccatore ma su di lui e sulla bontà delle sue opere veglia la misericordia di Dio (è la parola guida dell’imminente Anno Santo).

Sul ‘Carlino’ del 5 ottobre 1965 (guarda), nell’editoriale di commento al discorso, il direttore Giovanni Spadolini scriveva così: « Se c’è un elemento che colpisce su ogni altro, nell’appassionata ed insieme meditata allocuzione di Papa Paolo VI alle Nazioni Unite, è proprio l’insistenza sui valori che sono propri e tipici del mondo laico e moderno, anche se hanno un matrice cristiana: i valori della ragione, i valori della tolleranza, i valori della libertà, compresa, per esplicita indicazione del Pontefice, la libertà religiosa così contestata e discussa nelle aule del Concilio vaticano secondo». A chi si chiedesse se l’intervento all’Onu servì, andrebbe solo chiesto, di contro, se le lezioni di etica universale servono o no. O davvero si pensa che guerre e contrasti internazionali si sarebbero dovuti spegnere appena il papa avesse lasciato il microfono? Il rivoluzionario Concilio citato da Spadolini, aperto da Giovanni XXIII, fu chiuso da Montini il 7 dicembre 1965, due mesi dopo il viaggio a New York. Il rapporto tra Chiesa e mondo non fu mai più uguale a prima. Una riprova dell’emozione dei tempi: a don Giuseppe Belleri, direttore della Libreria Leoniana – che se ne fece testimone – il papa confidò «di aver sentito vibrare sotto quelle volte il Discorso della montagna di Gesù, rivolto a tutti i popoli del mondo». E specialmente alle schiere «dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere, al progresso». Nel ’67, con l’enciclica ‘Populorum progressio’, avversatissima dai tradizionalisti, Montini fissava la sua dottrina sociale, capitolo fondamentale del discorso con cui aveva aperto la strada dell’Onu per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. C’è già, in questa visione di un pontificato dell’incontro, del riconoscimento dell’altro, del tormento personale e della tormenta della storia, del dialogo come scrisse l’amico Jean Guitton, l’idea di quella Chiesa ‘in uscita’, in cammino, cara a Bergoglio. Papa delle sfide, prima fra tutte quella di mantenere la rotta del Concilio e di non celare, all’Onu, il proprio no alla contraccezione (enciclica ‘Humanae vitae’, l’ultima, del ’68). Per la prima volta la Chiesa moderna veniva accettata nel consorzio degli stati, che lei stessa riconoceva nel nome della pace e della giustizia sociale. Altre sfide durissime non mancarono al papa riservato, nemico dell’apparire, coltissimo, sicuro pilota delle riforme fra gli scogli di un tornante politico ribollente, discreto persino nei propri funerali. La reazione asperrima del vescovo Lefebvre (scomunicato da Giovanni Paolo II) al Concilio e alla messa in italiano, e la fine di Aldo Moro. Quell’appello in ginocchio agli uomini delle Brigate Rosse per la salvezza del grande amico non si dimentica. Altro anno crudele, spietato, quel 1978, per il papa già gravemente malato e prossimo alla morte (6 agosto). Forse, anzi certo, Montini sorrideva poco. Ma provateci voi, anche da papi, a sorridere, quando gli anni difficili non finiscono mai.