LA TESTIMONIANZA / ‘Celo manca’: ecco l’album della speranza

Le foto di Finale Emilia, un paese che non c’è più ma, passo dopo passo, sta ritrovando la sua identità

Una fotografia scattata da Ivan Gallini all’interno del Duomo ferito di Finale Emilia

Una fotografia scattata da Ivan Gallini all’interno del Duomo ferito di Finale Emilia

Stefano Marchetti, giornalista de il Resto del Carlino
Stefano Marchetti, giornalista de il Resto del Carlino

 

E’ come quando andavo alle elementari, quasi cinquant’anni fa, e amavo fare le collezioni di figurine. E non erano soltanto quelle dei calciatori, no: ho ritrovato in un cassetto un album sulla geografia, un altro sull’astronomia, un altro ancora sui cantanti, e allora andavano di moda Caterina Caselli e Nicola Di Bari.

Si apriva una bustina dietro l’altra, e con la Coccoina si incollavano alle pagine i rettangolini di carta: giorno dopo giorno, c’era la soddisfazione di veder più vicino il traguardo, la raccolta completa. Scattava così il gioco del ‘celo, manca’: scambi con gli amici, accordi planetari, «Ti do il Sole se mi dai la Terra», trattative di calciomercato, «Rivera vale come Mazzola?». Sì, questo ce l’ho, ‘celo’, e questo mi manca.

Davanti a me, in queste pagine, ho un altro album. Non sono figurine, purtroppo, ma squarci e sguardi dolorosi. Non sono figurine attaccate con la colla e il pennellino, ma memorie di una notte e di un giorno che cinque anni fa hanno cambiato tutto, e forse tutti. Non sono figurine, eppure sento che...

Manca, mi manca riaprire la finestra, quella più in alto, e incantarmi a guardare la cupoletta del Municipio, con la sua banderuola e le sue campane. Mi manca passare dalla piazza, alzare gli occhi e vedere l’ora esatta, con San Zenone a fare buona guardia al portone della Casa dei finalesi.

Una fotografia scattata da Ivan Gallini all’interno del Duomo ferito di Finale Emilia
Una fotografia scattata da Ivan Gallini all’interno del Duomo ferito di Finale Emilia

Celo, ce l’ho il sollievo di vedere le gru in funzione, i muratori col caschetto, gente che costruisce, anzi ricostruisce. Ce l’ho la gioia di salutare un negozio che apre, un nuovo bar sotto i portici, una vetrina che si accende. Ce l’ho la bellezza di svegliarmi al mattino e sentire, già alle prime luci, l’allegro brusio delle rondini e degli altri uccellini che hanno rifatto il nido, sono tornati a casa, come me.

Ce l’ho il sorriso del carnevale visto dal balcone, il chiacchiericcio del mercato al mercoledì sotto il davanzale, il frastuono della macchina che svuota la campana del vetro: anche questa è vita. Celo, ce l’ho il desiderio di ritrovare un pezzetto di quella solidarietà che ci teneva uniti quando tutto tremava: sotto il tendone in estate c’era caldo e si sudava, ma forse si stava più vicini.

Celo, ce l’ho la speranza di chiudere questo album in bianco e nero e di aprirne un altro, tutto a colori, e ritrovare presto il mio Finale com’era quando ci sono nato e cresciuto, con le torri, le chiese, i palazzi, il teatro, i cinema, le case, tutto quello che non mi è mai sembrato così importante come adesso. Ce l’ho il sogno che tutto questo avvenga presto, in fretta, fra un anno, fra un mese, domani, anzi subito. Sì, celo, ce l’ho questa voglia. E, beh, scommetto che ce l’abbiamo tutti.