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La riforma ha modificato l’articolo 1138 del Codice civile: divieti cancellati

Speciale riforma condominio

Speciale riforma condominio

Una delle novità più interessanti e più attese della riforma in vigore dal 18 giugno 2013, è senz’altro la modifica dell’articolo 1138 del Codice civile con cui, di fatto, si è dato il nulla osta alla presenza di animali domestici nei condomìni. Il comma 4 – aggiunto con la legge 220/2012 – recita infatti che «le norme del regolamento di condominio non possono vietare di possedere o detenere animali domestici» all’interno della proprietà privata.

«Prima della riforma, molti regolamenti vietavano ai condòmini di tenere animali in casa», ricorda Sabina Borgatti, architetto, amministratore immobiliare, consulente dell’Asppi. Oggi, «questa possibilità non esiste più». Il nuovo testo dell’articolo 1138, però, lascia aperta la porta a potenziali discussioni in punta di diritto. Alla definizione «animali da compagnia», prevista in una prima stesura della norma, è stata preferita quella di «animali domestici». Ma «secondo le categorie della scienza veterinaria – commenta la Borgatti – non sono considerati animali domestici i criceti, i coniglietti nani, i furetti o le tartarughe». Mentre lo sono, per esempio, caprette, galline o mucche.

Il fatto che la legge «non faccia classificazioni e non utilizzi una terminologia specifica» potrebbe essere frutto, in casi estremi, di incomprensioni e litigi. «Non si deve però dimenticare –avverte la Borgatti – che esistono delle normative sovraordinate di igiene e di polizia urbana che possono definire il divieto di tenere, per esempio, animali da cortile nelle aree urbane».

Resta comunque la possibilità di vietare il possesso di animali esotici. E, in ogni caso, la presenza di animali in condominio non è fuori da ogni regola.

I proprietari degli animali devono infatti comportarsi in modo tale da non ledere o nuocere alla quiete o all’igiene di chi abita nello stabile. «Rumore e sporco nella parti comuni sono i problemi più frequenti, fonte spesso di dissidio».

Soprattutto nel caso di disturbo della quiete (il classico caso del vicino infastidito dal cane che abbaia) «il condomino che si ritiene parte offesa è tenuto a provare, anche con perizie tecniche o mediche, l’esistenza di una molestia concreta e oggettiva». Non basta, insomma, un generico ‘fastidio’. Nel caso del cane, l’abbaiare sporadico, per esempio al ritorno a casa del padrone o all’arrivo del postino, «deve essere considerato fisiologico, e quindi tollerato».

Altro tema spesso causa di discussioni è l’accesso dell’animale domestico alle parti comuni del condominio: scale, cortili, portici, ingresso, pianerottoli. «Su questo, la norma non dice nulla, ma è implicito che l’animale possa accedere a luoghi come il giardino, le scale o l’ascensore», afferma la Borgatti. Va da sé che il proprietario «dovrà tenere un comportamento responsabile, tale da non mettere in pericolo gli altri». Se, dunque, l’accesso alle zone comuni non può essere negato, si può prevedere che il cane, per esempio, venga tenuto al guinzaglio o con la museruola.

Nel caso venga contestata una mancanza di igiene e/o decoro, è a carico dei condòmini l’onere di provare – in modo rigoroso – che la causa del disagio sia l’animale. «Come sempre, nella complessa vita condominiale – commenta la Borgatti – anche nel caso della presenza di animali valgono il buon senso e la tolleranza da parte di tutti».