{{IMG_SX}}Ancona, 10 settembre 2009 - "Se dopo 15 anni ancora i tifosi ricordano con piacere la mia Ancona, accostandola per il gioco a quella rivelazione di Salvioni, mi compiaccio. Evidentemente ero già all’avanguardia ed ho lasciato il segno, nonostante mi abbiano cacciato in modo scandaloso, con la A ad un punto. Non lo dimenticherò mai".

 

Attilio Perotti non fa più l’allenatore ("m’ero stufato"), oggi è il responsabile tecnico del Piacenza. Ha lasciato tanti bei ricordi ad Ancona, ma in questi giorni il suo nome rimbalza un po’ ovunque perché la sua effervescente ma a volte poco equilibrata Ancona (concordiamo nel giudizio) viene accostata a questa di Salvioni, che gioca disinibita in attacco senza guardare in faccia nessuno.

 

"Di questa Ancona ho letto ed ho visto filmati, non una partita intera. Ma sono informato. È una squadra sbarazzina, può essere davvero la rivelazione del campionato. Mastronunzio poi è da sfracelli. Quello non sbaglia un colpo, ha senso del gol come pochi. Mi ricorda i centravanti d’una volta. Tenetelo stretto".

 

Perotti di Brescia, Salvioni di Bergamo: vi conoscete?
"No, ma ci siamo affrontati tante volte in campo. Volete saperne una? Eravamo due tornanti. Quelli che tornano si fanno un mazzo così e vedono di più il gioco".

 

Cosa ricorda di allora?
"Tutto. Intanto avevo giocatori di qualità come quel funambolo di Caccia in avanti, quel matto di Centofanti sulla fascia, un maestro in difesa come Sergio al fianco del resuscitato Baroni, Sgrò che correva sempre e che ha fatto pure il libero, lui che era un nano. Bella squadra ma con equilibri a volte precari".

 

Squadra tutte bollicine che faceva impazzire i tifosi. Era il primo anno del calcio da tre punti, forse per quello?
"No, le mie squadre sono state sempre così, più o meno. Ma allora ci si divertiva con il gioco. Ricordo che all’inizio era ancor meno pragmatica ed ordinata per cui fui costretto a opporla a metà settimane a squadre di dilettanti per farla salire in responsabilità. Trovato l’assetto ci siamo buttati all’attacco".

 

Cosa chiedeva alla squadra?
"Avevamo quattro o cinque schemi obbligati con situazioni tattiche ben definite. Le chiamavo ’autostrade’. Esaurite quelle lasciavo il gioco all’inventiva dei ragazzi. Facevamo gol a manciate, ma beccavamo pure, ma la gente si spellava le mani".

 

Anche grosse vittorie quell’anno: al Conero 3-0 al Lecce, 4-2 all’Atalanta, blitz a Como 3-1, a Verona col Chievo 3-2 e a Lecce 2-1. Ma anche capitomboli nei derby di Ascoli (2-0) e Pescara (4-2). Era una squadra fatta così.
"Ancora non ho digerito quel licenziamento, oltretutto dopo la vittoria sull’Andria. Mancavano quattro partite ed avevamo un calendario facile, era quasi fatta. Quante falsità mi rinfacciarono. Ancora mi fanno male".