"Altra chiesa ricoperta dal Vangelo in dialetto"

Dopo Monte Roberto con tanto di incontro col Papa, don Maurizio Fileni si è spostato a Castelbellino traducendo i versetti di Marco

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Per aver decorato le pareti della canonica con le parole del Vangelo tradotto in dialetto don Maurizio Fileni, parroco di Monte Roberto è stato chiamato da papa Francesco. A gennaio l’incontro in Vaticano e dopo quel folgorante incontro don Maurizio si è rimesso all’opera. Domenica alle 17 l’inaugurazione della sua nuova opera: 56 metri quadrati di versetti del Vangelo di Marco con cui ha ricoperto l’intera superficie interna della chiesa di San Marco Evangelista a Castelbellino stazione. Per l’occasione ci saranno il vescovo di Jesi, don Gerardo Rocconi e il Nunzio Apostolico Monsignor Giovanni Tonucci.

Don Maurizio Fileni, cosa l’ha spinta a rimettersi al lavoro? "Parto sempre dal fatto che il dialetto è fondamentale per rendere le scritture più vicine alle persone. Mi aspetto che la gente apprezzi il lavoro e che ci si affezioni. Mi auguro poi che con il trascorrere del tempo, la gente non riesca più a riconoscere questa chiesa senza quest’opera. Pensi quanto sarà bello quando ci sarà la messa della domenica e la chiesa si riempie. Pensi quanto la gente si sentirà circondata, abbracciata, stretta dal Vangelo di Marco: dal Vangelo scritto dal suo San Marco".

È un’opera colossale...

"Sì, già le dimensioni sconcertano. Sono 56 metri di lunghezza e 56 metri quadrati di superficie scritta. Esattamente 1.680 righe, 23mila parole e 677 versetti. Ho calcolato che per scrivere il testo mi ci sono volute circa 150 ore. Per la progettazione e la preparazione, più del doppio. Solo di pennarelli indelebili ho speso ben 600 euro".

Ma dove ha trovato il tempo per realizzare tutto questo?

"Di notte, visto che di giorno sono parroco e faccio il parroco. Ma devo dire che due persone mi hanno aiutato molto: Claudio Petrozzi che mi ha dettato tutto il testo e Maria Massei che ha collaborato alla buona riuscita dell’opera".

Lei si sente un parroco artista?

"La ritengo piuttosto una forma di vita. È un modo di vivere o sopravvivere a quest’oggi che non mi piace. La definirei l’arte di vivere".

Perché proprio a Castelbellino Stazione?

"Nella chiesa neoclassica di Castelbellino paese non era possibile. Non potevo intervenire su una chiesa monumentale: sarebbe stato rischiosissimo. Ma quella di Castelbellino stazione è una chiesa particolare: sopra il tetto della chiesa ci sono due ordini di appartamenti. E poi prima di essere chiesa è stata un laboratorio per e la riparazione di macchine agricole. Inoltre essendo chiesa solo dal 1984, non è ancora tutelata dalla Sovrintendenza".

Punta a tornare dal Papa?

"Chissà... è stata un’esperienza esaltante. Durante l’incontro guardandolo negli occhi gli ho spiegato le mie convinzioni popolari e lui mi ha incoraggiato. Mi ha detto: ‘La fede passa tramite il dialetto, passa di madre in figlio, di nonno in nipote".

Sara Ferreri