Anconetano il re del gelato a Miami "Noi italiani abbiamo un dna unico"

Stefano Versace nel 2012 ha deciso di chiudere l’ultimo locale nelle Marche per andare negli Usa. Ora è titolare di una catena di negozi: "Non c’è nessuna chiave del successo. Sbagliando s’impara"

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di Silvia Santini

Stefano Versace, imprenditore milanese di nascita ma anconetano d’adozione da quando aveva sei anni, nel 2012 ha deciso di abbassare la serranda del suo ristorante nel cuore delle Marche e di trasferirsi a Miami, in Florida, dove è diventato il re del gelato avviando una catena di gelaterie oltre oceano. Alcune sere fa si è collegato in diretta per la serata "Buonasera Marche show – speciale Parco del Conero" che ha chiuso in bellezza il festival a Sirolo.

Cosa significa essere italiano oggi?

" Dico sempre che sono fortunato di essere italiano, è un valore aggiunto. Nel dna abbiamo qualcosa di unico, un patrimonio culturale vecchio di secoli. Occorre far leva su questo ma non per vantarci o per peccato di superbia bensì per condividerlo con gli altri, per diffondere l’italianità, che sia attraverso la cucina, la moda, i motori, qualsiasi settore in cui eccelliamo. E poi un’altra cosa, dobbiamo imparare quello che di meglio sanno fare gli altri".

Anche il gelato?

"Mi sono sempre chiesto come mai abbiamo il miglior gelato al mondo a livello di prodotto ma le migliori catene e i soldi li fanno loro, gli americani. Miami in particolare è la patria delle catene. Ecco perché: il 95 per cento del successo è costituito da un insieme di marketing, ricerca, analisi di mercato e quant’altro. Il 5 per cento dalla qualità. La brutta notizia è che a noi quel 95 per cento manca e siamo costretti a impararlo. La bella invece è che il 5 ce l’abbiamo dentro da sempre e non è una cosa che si assimila. E’ tutto questo che mi ha spinto a trasferirmi in America".

Che cosa dovrebbero fare gli italiani allora?

" Prendo spunto da una considerazione di Oscar Farinetti che ha detto che ogni italiano dovrebbe avere quattro fasi: la presa di coscienza di andare all’estero per diffondere la cultura e apprendere, seguita dalla partenza fisica, cosa che consiglio ai giovani perché il mondo non è solo l’Italia e nemmeno l’Europa, la ‘tornanza’ per restituire quello che si è appreso e dato e poi la ‘restanza’".

Che cos’è Miami oggi?

" Prima era la città dello sbando e del divertimento, poi nel 2000 del turismo e oggi ha spodestato New York perché è centro dell’economia e pure San Francisco come fulcro della tecnologia. Si sta davvero bene". Qual è il segreto del successo allora?

"Non esiste la chiave del successo, ci sono tanti fattori che devono coesistere. Noi italiani dobbiamo imparare fin da quando andiamo a scuola a relazionarci con il fallimento, a viverlo con più serenità. Il fallimento è visto male da noi italiani, gli sbagli vengono nascosti, gli errori taciuti, e invece è sbagliato perché fanno parte della nostra vita e servono. Trump ha 11 fallimenti alle spalle e non mi sembra che se ne faccia cruccio. Occorre poi fregarsene del giudizio degli altri. C’è un detto negli Stati Uniti che recita più o meno così, "sbaglia velocemente", il successo è dietro l’angolo del tuo ultimo sbaglio".