L’ex ‘accattone’ della banda della Magliana: “Vi racconto io di Carminati”

Intervista ad Antonio Mancini con le sue verità sulla vicenda di Mafia capitale

Antonio Mancini, uno dei boss della banda della Magliana

Antonio Mancini, uno dei boss della banda della Magliana

Jesi (Ancona), 8 giugno 2015 - «Mafia capitale due? Continua a schifirmi ma non a stupirmi. Anzi mi aspettavo qualcosa di più forte e penso ci sarà una terza ‘infornata’. Carminati ha sicuramente qualcuno sopra di lui». Antonio Mancini, ex ‘accattone’ era uno dei boss della banda della Magliana, accanto a Danilo Abbruciati, Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino ed Enrico De Pedis. Ora è un uomo libero, trascorre la sua vita a Jesi, al servizio e al fianco dei disabili e degli ultimi. Ha ricostruito la sua verità sulla banda in un libro scritto con Federica Sciarelli: «Con il sangue agli occhi», libro che sta per uscire in ristampa nelle librerie, rivisto proprio con le sue nuove verità su Mafia capitale.

Fine anni ’70, la banda della Magliana conquistava Roma a colpi di pallottole, droga, pugni e poker, quando ha conosciuto Carminati?

«Sì, la banda era già formata. Carminati lo conosco da quando aveva tutti e due gli occhi buoni. Prima di vederlo, ne conoscevo la fama, era tenuto in considerazione da tutti, stimato, si parlava di un suo omicidio a un tabaccaio su ordine di Giuseppucci. Il mio amico De Pedis mi disse che sempre Carminati aveva fatto parte del commando che ha ucciso Mino Pecorelli (giornalista ucciso nel 1979, ndr)».

Ma è stato assolto...

«Sapesse quante volte sono stato assolto io, pur essendo colpevole. Non c’è criminale al mondo che non lo sia mai stato. Del resto Carminati è stato assolto non solo nel processo Pecorelli, ma anche per l’omicidio del tabaccaio romano Teodoro Pugliese e per il depistaggio organizzato dai servizi segreti deviati per sviare le indagini sulla strage di Bologna. Le cose sono due: o Carminati è vittima di complotti o ha santi in Paradiso. Per me la seconda». Quindi pensa che ne uscirà indenne?

«Sì. Non significa necessariamente l’assoluzione. Anche una condanna è accettabile: purchè non troppo pesante. Nella bandaccia avevamo stabilito anche gli anni di carcere accettabili. ‘Cinque anni s’areggono’ dicevamo: ‘Più de cinque è ‘na rottura de cojoni’. Io li ho doppiati, ne ho fatti undici ma perché mi hanno preso col sangue che colava. Ero stato condannato a 28 anni per quattro omicidi, ma io moralmente mi sento responsabile di tutti».

Diceva che il «re di Roma» lo ha sorpreso?

«Mi hanno sorpreso i termini che utilizza nelle intercettazioni. Me lo ricordo come una persona educata, riservata, taciturna, parlava in italiano perfetto. Ora invece usa espressioni grevi che non gli appartenevano. Per stare nel mondo di mezzo devi mantenere certi atteggiamenti, devi plasmarti a seconda di con chi parli».

Lui dà pessimi giudizi sulla banda, parla di «accattoni, straccioni e venditori di droga capaci solo di ammazzare».

«Sì, er Guercio mi fa inc..., non tanto per le etichette quanto per il fatto che lui si chiami fuori da tutto. Per lui noi andavamo a sparare la sera un po’ come andare al luna park. Mi meraviglia che non l’abbia detto allora che gli facevamo questo brutto effetto. Saremmo stati meno sanguinari e avremmo sparato magari a salve. A parte l’ironia mi chiedo come possa essere contento di certe parole chi sta ancora scontando il carcere per avere vendicato il suo mentore Franco Giuseppucci. Per il resto ha detto cose vere e comunque non del tutto false, perché noi della Magliana eravamo effettivamente così. Un passo avanti e caricatori della pistola pieni. Per prendere Roma sparavamo solo ai capi, così i loro sottoposti erano allo sbaraglio e venivano ad accordi».

E se potesse incontrarlo e parlarci cosa direbbe al «Re di Roma»?

«Credo sarebbe questione di cazzotti e revolverate. Poi gli direi: ‘Ciccio, non pensare che a comandare sei te. Quando non serve farai la stessa fine delle tue vittime’».

E’ convinto ci sia qualcuno sopra di lui?

«Sì? I pescecani devono ancora venire fuori, non so se lo faranno mai».

Ha già detto che quanto sta emergendo con Mafia capitale non lo stupisce..

«Sono cose che vado dicendo da anni, chi è Carminati, che la banda non è mai morta.. Però questo è malaffare, un mondo che fa schifo. Fare i soldi con gli immigrati, gli ultimi, mi fa vomitare».

Verrebbe da dire da che pulpito..

«Anche noi criminali, non andiamo oltre certi limiti di pudore e pudicizia. Non facciamo usura, pizzo né sequestri di persona. Qual è il reato qui? E’ tutto un gioco di potere, livelli sporchi. Noi ammazzavamo per tirarci fuori dai guai, dal fango».

Oggi lei invece è al servizio dei più umili.

«Sì, prima dei disabili che portavo in giro con il pulmino, lo stesso che vedevo passare in città. Dentro un ragazzo in piedi che guardava fuori con lo sguardo fisso, con impulso lo stesso che mi ha spinto a diventare collaboratore di giustizia sono andato in commissariato a chiedere di poter stare con quei ragazzi. Se non avessi causato dolore probabilmente non avrei scoperto l’importanza di aiutare di chi vive ogni giorno nel dolore. Oggi che non posso più guidare il pulmino assisto la mia vicina, cambio pannoloni. La vera puzza non è questa ma quella della politica che si arricchisce con i migranti».