Caporalato al porto di Ancona, 19 denunce. Sfruttati oltre 400 operai

L'indagine della Fnanza ha fatto emergere un giro di false fatture per 15 milioni di euro. Nei guai 16 società di sei regioni d'Italia gestite da bengalesi e italiani

Sradicato un sistema che proseguiva da anni

Sradicato un sistema che proseguiva da anni

Ancona, 29 maggio 2020 - Scoperta maxi frode nella cantieristica navale: denunciate diciannove persone per reati fiscali e caporalato. Coinvolte 16 società in sei regioni. Il giro di false fatture è pari a 15 milioni di euro. In azione i finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Ancona, con il coordinamento della procura della Repubblica. Articolata l’indagine nel settore dei subappalti per la cantieristica navale, che ha visto il coinvolgimento di sedici società con sede nelle Marche, Campania, Puglia, Basilicata, Friuli Venezia Giulia e Veneto, con alle dipendenze 416 operai di cui 146 impiegati nel capoluogo dorico. Tutte le imprese, gestite da amministratori sia italiani che bengalesi, lavoravano all’interno dello stabilimento della più importante società di costruzioni navali di Ancona, risultata essere estranea ai fatti.

La complessa attività investigativa, svolta dalle fiamme gialle in collaborazione con il locale ispettorato del lavoro, si è protratta per più di un anno e ha visto l’esecuzione, tra l’altro, di numerose perquisizioni. Il disegno criminale era quello di realizzare plurimi illeciti contributivi e fiscali, a danno sia dei dipendenti delle 16 societa’ coinvolte che dello Stato, per abbattere artificiosamente il reale costo del lavoro, in modo da poter offrire prezzi ribassati e fuori mercato all’importante societa’ di costruzioni navali. Questo per ottenere l’aggiudicazione degli appalti, creando così anche un ingente danno alle imprese che agivano nel rispetto delle regole di mercato, le quali si trovavano ad essere estromesse dagli affidamenti.

In alcuni casi si è rilevata l’imposizione, da parte del caporale ai lavoratori di “restituire” in contanti parte della retribuzione come fosse un vero e proprio “pizzo”. In particolare nell’ambito di una perquisizione domiciliare a Marghera, in casa del caporale bengalese, sono stati rinvenuti e sequestrati oltre 40mila euro in contanti, alcuni contenuti in buste recanti la dicitura: “Da parte del lavoratore per il boss”.

Analizzate decine di operazioni sospette ai fini valutari, costituite da spedizioni di denaro all’estero, prevalentemente in Bangladesh, mediante servizi di “money transfer” effettuate da parte di soggetti alle dipendenze del caporale. Dalle indagini è poi emerso come in alcune circostanze si approfittasse dello stato di bisogno di lavoratori, in particolare di quelli bengalesi, alcuni dei quali alloggiati in condizioni di forte degrado abitativo, costretti a lavorare “sottopagati” per ottenere un contratto di lavoro indispensabile per il rinnovo del permesso di soggiorno. Gli operai ricevevano una ‘paga globale’ imposta arbitrariamente dal datore di lavoro al di fuori dei limiti previsti dai contratti collettivi nazionali e priva di tutte le indennità come ferie, malattie, turni notturni.

Venivano impiegate decine di dipendenti in orario notturno continuativamente per alcuni mesi, senza la corresponsione di alcuna delle indennità. In particolare, una società con sede in provincia di Taranto ha impiegato per oltre quattro anni numerosi operai in attivita’ notturne di molatura degli scafi navali senza corrispondere alcuna indennità, conseguendo un indebito risparmio per oltre 160mila euro.

E poi ancora emissione di false fatture per 15 milioni di euro da parte di cinque società “cartiere” appositamente costituite per compensare illecitamente i dovuti contributi previdenziali. Tale stratagemma era stato adottato da un sodalizio criminale di soggetti di origine campana, che avevano costituito una rete di società fittizie, intestate a vari “prestanome”, tra cui figuravano anche alcuni operai dipendenti extra-comunitari, costretti ad accettare la carica di amministratore pena il licenziamento.

Gli atri stratagemmi per tagliare il costo del lavoro erano: il sistematico “sotto-inquadramento” dei lavoratori, la produzione di false lettere di contestazione per assenze ingiustificate in realtà mai avvenute. E poi la corresponsione di emolumenti sotto forma di rimborsi per trasferte, in realtà non effettuate, in quanto non imponibili ai fini contributivi, con conseguente frode aggravata ai danni dell’inps per 390mila euro. Ma alcune delle società controllate hanno omesso di sottoporre alla prescritta visita medica decine di lavoratori impiegati per lavori notturni o particolarmente insalubri.

A tre uomini uno di 34, uno di 61 e l’altro di 37 anni, gestori di diritto e di fatto di una società con sede legale a Taranto è stato eseguito il sequestro di disponibilità finanziarie sui conti correnti oltre che beni immobili per 350mila euro. Diciannove denunciati, tra questi 6 caporali per svariati reati, tra cui “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, che nella forma aggravata è punibile con la reclusione fino a 12 anni, truffa aggravata ai danni dell’Inps, frode fiscale mediante utilizzo di false fatture e indebita compensazione dei tributi e omessa vigilanza sanitaria dei dipendenti.