Senigallia, evasione per 23 milioni e riciclaggio. Maxi blitz nelle fabbriche cinesi

'Operazione Domino' della Guardia di Finanza: 68 denunciati, sigilli a 5 fabbriche e 24 evasori totali. Ecco come riuscivano a truffare il Fisco

L'operazione Domino condotta dalla Guardia di Finanza

L'operazione Domino condotta dalla Guardia di Finanza

Ancona, 20 gennaio 2021 - Sessantotto cinesi denunciati per evasione di 23 milioni di euro e riciclaggio, cinque fabbriche e 342 macchinari sequestrati e scoperti 24 evasori totali e 26 lavoratori in nero. Questi i numeri della maxi operazione che ha riguardato il settore del confezionamento di prodotti tessili all’interno del distretto di Senigallia- Ostra-Mondolfo condotta dalla Guardia di Finanza di Senigallia.

Le indagini

Le Fiamme Gialle hanno così portato a compimento, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Ancona, una vasta attività investigativa che ha permesso d’individuare, nell’ambito di ben 15 procedimenti penali, una complessa ed estesa frode che ha portato alla denuncia, per reati fiscali, riciclaggio ed autoriciclaggio di proventi illecitamente accumulati di 68 soggetti di etnia cinese, che hanno gestito 57 imprese che operavano nello specifico settore.

Le indagini sono state avviate nel 2016 attraverso una attenta analisi d’intelligence di dati finanziari, tra cui quelli relativi alle persone e società che presentavano posizioni debitorie per centinaia di migliaia di euro nei confronti del Fisco e degli enti previdenziali nella provincia di Ancona per mancati versamenti di imposte e contributi.

Così riuscivano a offrire prezzi concorrenziali

I finanzieri sono riusciti così a individuare numerose ditte individuali, localizzate all’interno del citato distretto industriale della manifattura tessile, riconducibili a persone di origine orientale, le quali, attraverso sistematiche condotte di evasione fiscale e contributiva riuscivano a offrire prezzi concorrenziali per le commesse ricevute da imprenditori italiani del comparto tessile.

Le aziende avevano una programmata e anomala 'breve vita'

Il sistema di frode scoperto veniva ripetutamente realizzato da ben 57 imprese e consentiva il metodico mancato versamento all’Erario delle imposte dirette, dell’Iva nonché dei contributi fiscali e assicurativi attraverso una programmata anomala “breve vita” della singola realtà aziendale, la quale veniva appositamente fatta cessare, solo in via formale, dopo appena due o tre anni, accumulando ingenti debiti verso lo Stato.

In realtà, veniva garantita la prosecuzione dell’attività industriale in “continuità aziendale” grazie al preordinato utilizzo delle precedenti sedi, dei medesimi capannoni, avvalendosi delle identiche risorse umane e beni materiali, dello stesso tenutario delle scritture contabili e a favore dei precedenti clienti committenti dei lavori.

I militari hanno eseguito, nel corso delle complesse indagini, numerose perquisizioni durante gli orari notturni mentre venivano confezionati i capi di abbigliamento, sia presso gli opifici che le abitazioni degli indagati sequestrando disponibilità finanziarie, copiosa documentazione contabile e extra-contabile.

I numerosi e gravi indizi così acquisiti hanno consentito di rilevare come ciclicamente il titolare e un dipendente della ditta di turno coinvolta, che veniva fatta appositamente cessare, procedevano strumentalmente a “invertire” i loro ruoli diventando, rispettivamente, dipendente e titolare di una neo-costituita impresa, la quale subentrava alla precedente, che invece non aveva intenzionalmente onorato i suoi debiti fiscali e contributivi.

Tale ciclo si ripeteva con cadenza quasi biennale e la cessazione della partita Iva rappresentava, pertanto, un mero strumento di dissimulazione della continuità aziendale, consentendo al dominus di turno di sottrarsi, in modo fraudolento, al pagamento delle imposte. In alcuni casi gli uomini delle Fiamme Gialle sono riusciti a scoprire che gli imprenditori indagati per evitare il pagamento delle imposte, abbattendo la base imponibile da dichiarare, facevano uso di fatture per operazioni inesistenti, emesse da altre aziende cinesi per un totale di quattro milioni di euro.

Maxi sequestri

Sulla base della richiesta del pm il  Tribunale di Ancona ha disposto a carico degli indagati il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità degli stessi fino alla concorrenza di euro 5.489.338. I finanzieri hanno, pertanto, sottoposto a sequestro disponibilità finanziarie rinvenute sui conti correnti per 737mila euro, crediti presso terzi per un valore di oltre 1.493.000,00 euro, 5 opifici per oltre tremila metri quadrati, 342 macchinari e sei autovetture.

I sequestri, effettuati anche nei confronti di prestanome, sono stati confermati in più occasioni dal Tribunale del riesame che ha condiviso le ipotesi di reato prospettate dalla Procura della Repubblica e convalidate dal Gip. Il Tribunale di Ancona, negli ultimi due anni, ha emesso sentenze, passate in giudicato, con cui ha confermato le condanne richieste dal pm nei confronti di diversi imprenditori cinesi e dei loro prestanome nonché disposto la confisca di beni mobili ed immobili loro riconducibili per un valore di euro 1.151.896,00. In tale contesto i finanzieri di Senigallia hanno sottoposto a confisca disponibilità finanziarie e 3 degli opifici già sottoposti a sequestro per un ammontare complessivo di euro 1.038.471,00.

Fatture per operazioni inesistenti

Parallelamente sono state sviluppate apposite verifiche fiscali nei confronti degli imprenditori coinvolti, di cui 24 sono risultati evasori totali (in quanto non hanno presentato le dichiarazioni fiscali), che hanno portato a constatare complessivamente ricavi non dichiarati per 23 milioni di euro, Iva dovuta per 5 milioni di euro e fatture per operazioni inesistenti per un imponibile di quattro milioni di euro.

I nomi italiani degli imprenditori cinesi 

Significativi i ruoli degli imprenditori cinesi noti come Luisa, Linda, Francesco, Mike, Romeo, Marco e Marcello formalmente residenti nella provincia di Ancona, che sono risultati essere le “menti” del sistema illecito in quanto, ognuno di essi, sovrintendeva in ogni opificio individuato, alla propria filiera di lavorazione, operando nell’ombra grazie all’utilizzo di “prestanome” o propri familiari, proseguendo nel tempo l’esercizio della propria attività, creando veri e propri “filtri” con meccanismo di scatole sovrapposte, costituendo un reale ostacolo per il successivo recupero della pretesa erariale.

I lavoratori in nero dormivano nei luoghi di lavoro

Gli ulteriori approfondimenti eseguiti in materia di lavoro hanno permesso di rilevare la presenza nei predetti stabilimenti di 26 lavoratori in nero che, anche a causa dei prolungati turni, venivano fatti dormire negli stessi luoghi di lavoro in aree non idonee, allestite come veri e propri “dormitori”, prive di via di fuga, senza idonee misure di sicurezza e con la presenza di materiali ad elevato rischio di incendio. Tali dipendenti utilizzavano delle zone improvvisate per la cottura dei cibi in precarie condizioni igieniche. Per salvaguardare l’incolumità fisica dei dipendenti e prevenire i gravi rischi è, quindi, proceduto al sequestro preventivo dei predetti immobili, in ossequio alle direttive dettate dalla Procura.

I proventi riciclati e/o autoriciclati dopo un’attenta azione di ripulitura confluivano nei conti correnti dei dominus e trasferiti in Cina ovvero utilizzati per l’acquisto di altre attività commerciali, di beni di lusso in note boutique milanesi site in via Montenapoleone ovvero utilizzati in case da gioco on-line assiduamente frequentate.

Segnalati 4 istituti di credito, 7 direttori di filiale e 2 commercialisti

Nel corso delle indagini sono state segnalati all’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia 4 istituti di credito,  7 direttori di filiale e  2 commercialisti per aver omesso di segnalare operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio. Le ragioni della proliferazione di tali imprese è derivata, grazie ai ripetuti illeciti, dai prezzi competitivi che queste sono state in grado di assicurare ad alcuni operatori del primario settore marchigiano del tessile, segmento ad alta incidenza di capitale umano, abbattendo indebitamente i costi di produzione, danneggiando gli operatori corretti e conseguendo ingiustificate performance sul mercato, tali da alterare le dinamiche della libera concorrenza nonché determinare, in modo indiretto, gravi danni sia al gettito erariale, nazionale e locale, che agli altri imprenditori onesti.