di Sandro Franceschetti
Un fiume d’amore. Oltre cinquecento persone hanno partecipato ieri, a San Lorenzo in Campo, alla fiaccolata e alla veglia di preghiera per Mattia Luconi, il bimbo di 8 anni strappato all’abbraccio della madre, Maria Silvia Mereu, dalla inaudita violenza delle acque del Nevola nella tragica sera del 15 settembre e ancora disperso. Un’iniziativa voluta dall’amministrazione comunale laurentina e dalla parrocchia dei Santissimi Biagio e Martino per testimoniare la vicinanza dell’intera comunità nei confronti del piccolo e della sua famiglia, in un momento di terribile sconforto. E la risposta della gente è stata meravigliosa, intensa, toccante. Accanto al primo cittadino Davide Dellonti e al parroco don Luca Santini, il vescovo Armando Trasarti e i sindaci di Fratte Rosa e Castelleone di Suasa Alessandro Avaltroni e Carlo Manfredi, con il corteo che da piazza Verdi si è mosso lungo le principali vie del centro, passando anche davanti alla casa di Mattia e mamma Silvia, in piazza Padella (dove il portone e tutte le finestre sono tristemente sbarrate da una settimana), per poi arrivare all’Abbazia benedettina.
Un corteo emozionante, con tanti volti rigati dalle lacrime e solo qualche flebile sussurro a scalfire lievemente un silenzio denso di tristezza. "Provo un dolore immenso; che tragedia", ha detto sottovoce una signora. Mentre un uomo, pochi metri più indietro, ha scosso la testa, piegata in avanti. "Un dramma nel dramma – ha bisbigliato –. Ogni giorno, ogni ora che passa, è sempre peggio. Un’angoscia che cresce. Non sapere che fine ha fatto il proprio bimbo, non ritrovare neppure il corpicino, è la cosa più terribile che può capitare ad una mamma e a un babbo".
Un babbo, Tiziano Luconi, che dalla sera dell’alluvione ha sempre seguito e continua a seguire le operazioni di ricerca, andate avanti incessantemente anche nella giornata di ieri.
E una mamma, Maria Silvia Mereu, farmacista di 42 anni, che è ancora ricoverata all’ospedale di Senigallia, dove l’ha portata il cognato, Alessandro Fontana (perché non c’era un’ambulanza disponibile), proprio quella maledetta sera, dopo che i soccorritori l’hanno ritrovata aggrappata allo stremo delle forze a un tronco che galleggiava su un terreno inondato, in contrada Coste, al confine tra i territori dei Comuni di Barbara e Castelleone di Suasa.
Lì, all’ospedale di Senigallia, i medici la stanno curando per risolvere i problemi polmonari causati dal fango, che le ha invaso le vie respiratorie, e intanto è seguita da uno psicologo, mentre sua madre Massimina e una zia arrivata apposta da Roma non la lasciano mai.
"Quando la natura travolge dei bambini siamo immensamente sconvolti e la vostra presenza silente, questa sera, immensa, ce ne dà memoria – ha detto il vescovo Armando Trasarti rivolgendosi alla folla, che ha gremito l’Abbazia al termine della fiaccolata –. Il dolore, acuto, dei genitori che perdono bambini è un dolore contro natura; è violenza. Quando muore una madre o un padre si dice che il figlio è orfano; quando muore un marito o una moglie l’altro coniuge è vedovo. Ma quando muore un figlio non c’è parola". "Non c’è niente da dire – ha concluso il vescovo –. Il vostro silenzio, stasera, è quella parola che manca".