ANTONELLA MARCHIONNI
Cronaca

Offese a colleghi e superiori, per un postino scatta il licenziamento

Rifiutò un ordine di servizio per poi pronunciare frasi colorite in azienda. La Corte d’Appello gli ha notificato una raccomandata che cancella il primo grado.

Rifiutò un ordine di servizio per poi pronunciare frasi colorite in azienda. La Corte d’Appello gli ha notificato una raccomandata che cancella il primo grado.

Rifiutò un ordine di servizio per poi pronunciare frasi colorite in azienda. La Corte d’Appello gli ha notificato una raccomandata che cancella il primo grado.

Ancona, 21 luglio 2025 – Trenta mensilità perse in un colpo solo. Tutta colpa di un foglio accartocciato, un ordine ignorato e una frase che dalle parti di Ancona in giù è comprensibile al volo, ma che più a nord non la traducono neanche con Google. È la parabola discendente di un ex postino anconetano che, dopo una vittoria in tribunale, si è visto recapitare dalla Corte d’Appello la peggiore delle raccomandate: licenziamento legittimo, risarcimento annullato e quasi 9mila euro di spese processuali da pagare.

Tutto ruota attorno a tre episodi chiave avvenuti nel 2023. Primo: il lavoratore, dipendente della Pony service srl (assistita dagli avvocati Maria Antonia e Michele Fatigato del foro di Foggia), classe 1968, residente ad Ancona, si era rifiutato di firmare un ordine di servizio che gli modificava l’orario, accartocciò il foglio davanti a due colleghi e un superiore gerarchico buttandolo a terra. Secondo: non aveva dato priorità a pacchi urgenti Amazon, lasciandoli in magazzino. Ma il vero casus belli è stato il terzo quando, durante un alterco con superiori e colleghe, il postino ha pronunciato ad alta voce un’espressione "localmente" pittoresca. Per essere filologicamente corretti la frase incriminata è: "Mi dovete fare i p…". Il significato non lo si trova su Google, ma chi lo conosce sa bene che fa riferimento a una pratica sessuale piuttosto esplicita.

La Corte non ha avuto dubbi sul contenuto e, soprattutto, sull’effetto: linguaggio inadatto, offensivo e sintomo di una rottura insanabile del vincolo fiduciario. Il tribunale aveva minimizzato: linguaggio colorito, sì, ma il giudice aveva parlato di protesta dai toni accesi in un ambiente in cui lo scambio di paroloni era, se non proprio tollerato, almeno diffuso. Risultato: rapporto di lavoro estinto ma con un’indennità di 30 mensilità per il lavoratore.

La corte d’appello, però, ha ritenuto che il comportamento fosse un gesto apertamente sfidante verso l’autorità aziendale, condito da espressioni gratuitamente offensive e un disprezzo marcato per le regole. Il tutto, secondo i giudici, ha infranto in modo irreparabile il legame fiduciario tra azienda e dipendente. E così l’ex postino ha perso tutto: causa, indennità e pure la copertura delle spese legali.

Il tribunale aveva escluso che si trattasse di molestia sessuale. La frase, infatti, non era rivolta a una singola persona, ma al gruppo, e in quell’ufficio, secondo le testimonianze, i toni alti e il lessico da caserma non erano l’eccezione. Insomma: brutto, sì, ma tollerabile. Niente clima intimidatorio o degradante, nessuna persecuzione, nessuna libidine. Solo una protesta rumorosa, secondo il giudice. Ma la corte d’appello, pur confermando che la frase non integra tecnicamente una molestia sessuale ai sensi dell’art. 26 del codice delle pari opportunità, ha messo nero su bianco che il comportamento del dipendente complessivamente inteso è comunque "apertamente critico nei confronti delle direttive dei superiori e caratterizzato, nel suo complesso, da un atteggiamento di sfida e da un linguaggio ingiurioso e gratuitamente offensivo".