Corinaldo un anno dopo, la rabbia del comitato. "La Lanterna non doveva esistere"

L’avvocato Canafoglia: "Quell’edificio non poteva essere adibito a discoteca. Molti ragazzi che erano là dentro sono ancora sotto choc, altri hanno stati d’ansia"

Un’immagine agghiacciante: le scarpe perse dai ragazzi nella fuga dalla discoteca

Un’immagine agghiacciante: le scarpe perse dai ragazzi nella fuga dalla discoteca

Corinaldo (Ancona), 7 dicembre 2019 - Oggi non è giorno come tutti gli altri. La notte di un anno fa la più grande tragedia che ha colpito il territorio ha cambiato per sempre la vita di centinaia di persone. Genitori che piangono figli che non ci sono più, ragazzi che non riescono a dimenticare, e padri e madri arrabbiati per quello che non doveva succedere. «La strage di Corinaldo non doveva accadere».

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E’ il sentimento che accomuna i familiari delle vittime, a vario titolo, della tragedia della Lanterna Azzurra (foto), dove nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, sono morti (foto) cinque ragazzini tra i 14 e i 17 anni e una mamma di 39 anni. In centinaia sono rimasti feriti e moltissimi portano ancora oggi i segni, soprattutto psicologici. Come M., oggi 16enne, che alla Lanterna Azzurra c’era andata insieme alle amiche per la festa di istituto. «Penso che se mi sono salvata è solo per un caso, forse un miracolo. Quando tutti fuggivano io ho preso l’uscita giusta perchè era la prima che ho visto e sono arrivata nel piazzale. Se fossi scappata da un’altra parte forse non sarei qui». 

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E al dolore si aggiunge la rabbia perchè una discoteca lì non doveva starci. «La tragedia di Corinaldo non si è originata solo per questioni di sicurezza, l’origine va individuata ancora prima, ossia nel fatto che, come emerso dalle indagini, la Lanterna Azzurra non era un edificio che poteva essere adibito a discoteca – afferma l’avvocato Corrado Canafoglia, legale del Comitato ‘Giustizia per le vittime della Lanterna Azzurra’ – questo fa rabbrividire e arrabbiare. Lì dentro sono morti cinque ragazzi e una mamma, centinaia di ragazzi sono rimasti feriti e ancora oggi decine e decine di ragazzini, anche giovanissimi, non riescono a superare quello choc. Li incontro, parlo con le loro famiglie. Molti di loro accusano ancora stati di ansia e paure, altri stanno voltando pagina e purtroppo c’è anche chi, dopo un anno, non riesce ancora a parlare della Lanterna Azzurra». 

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Accanto al dolore c’è anche sete di giustizia, che non potrà mai cancellare ciò che è stato, ma che almeno può fare chiarezza su tante domande ancora senza risposta. «In molti mi chiedono perchè ancora non sia cominciato il processo – prosegue Canafoglia – in realtà la situazione è molto complessa e le indagini proseguono su tre filoni: sulle responsabilità di chi ha organizzato, di chi ha rilasciato i permessi e poi sulla banda che ha spruzzato lo spray al peperoncino. Sono stati sentiti dalla Procura centinaia di ragazzi, molti dei quali minorenni, ci sono state moltissime perizie, tantissima documentazione d’assemblare. La Procura sta svolgendo un lavoro enorme e quando si aprirà il processo non sarà facile perchè ci sarà un rimpallo delle responsabilità tra i vari imputati».

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La tragedia di Corinaldo ha avuto però ripercussioni anche nell’applicazione delle leggi provocando un effetto preoccupante sui giovani, che ora si allontanato dal territorio per le serate di divertimento. «La sicurezza è fondamentale per poter svolgere attività da ballo e non solo e la strage di Corinaldo ha provocato un giro di vite nell’applicazione della normativa vigente che però si è concentrata solo nel nostro territorio e con ricadute orizzontali, senza valutare caso per caso – evidenzia Canafoglia – in questo modo non si è andato ad aumentare la sicurezza ma bensì si è facilitato il controllo della sicurezza, che è cosa ben diversa. Le attività del territorio non sono riuscite più a lavorare e organizzare eventi e il risultato è stato che i ragazzi se ne vanno in altre località, da Fano a Rimini e Riccione come a Porto Recanati, dove la normativa è applicata in modo diverso. Tutto ciò preoccupa le famiglie che vedono partire i loro ragazzi nella notte per macinare chilometri. La verità è che per ogni attività va creato una sorta di vestito su misura». 

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