Dal disturbatore al ladro: "Banda criminale"

Le motivazioni della sentenza di Appello contro la gang dello spray: "Un rapporto stabile finalizzato a commettere atti predatori"

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Era "un sodalizio criminale" la banda della Bassa Modenese condannata anche in secondo grado, il 17 marzo scorso, per la strage della Lanterna Azzurra di Corinaldo. Quella notte, tra il 7 e l’8 dicembre 2018, morirono nella discoteca 5 minorenni e una mamma di 39 anni, schiacciati da una folla in fuga dopo lo spruzzo di una sostanza urticante per rubare collanine d’oro. A quattro mesi dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di Ancona sono uscite le motivazioni che hanno portato i giudici a riconoscere ai sei imputati, Ugo Di Puorto, 23 anni, Andrea Cavallari, 23 anni, Moez Akari, 25 anni, Raffaele Mormone, 23 anni, Souhaib Haddada, 24 anni e Badr Amouiyah, 23 anni, tutti detenuti, anche l’associazione a delinquere con inasprimento delle condanne comprese da 10 a 12 anni, esclusa invece nel primo grado di giudizio. In 364 pagine la Corte spiega come proprio il numero elevato dei furti commessi nei locali e la loro abilità a scambiarsi di ruolo, attingendo anche a membri di bande opposte, siano stati determinanti per il riconoscimento del "pactum sceleris", l’accordo tra due o più soggetti per commettere una o più azioni delittuose. Dalle prove emerge "la sussistenza degli elementi costituitivi del reato associativo e cioè di un sodalizio criminale avente le caratteristiche di una vera e propria associazione per delinquere", formata dai sei giovani (più uno morto in un incidente stradale prima di finire a giudizio) e da un ricettatore, che ha già definito la sua posizione con un patteggiamento, mentre un ultimo ragazzo potrebbe finire a processo a settembre. La serialità e la frequenza della commissione di vere e proprie razzie all’interno di locali da ballo con modalità "professionali e collaudate", con cadenza più che settimanale, e il protrattasi per mesi evidenziano, motiva il presidente della Corte di Assise di Appello di Ancona Giovanni Trerè, "come quella fosse la modalità normale di operatività dell’associazione". Ben definiti, in particolare, i ruoli assegnati ai vari componenti: il "disturbatore" (che distraeva le vittime), chi strappava i monili, e infine chi li occultava, addosso a sé o nelle vicinanze dei locali. Per i giudici di secondo grado non contano "la radicale diversità o contrapposizione degli scopi perseguiti o eventuali conflitti di interesse tra i soci" come hanno cercato di contestare le difese degli imputati, sostenendo che i sei accusati non si conoscevano tutti tra loro e che erano arrivati alla Lanterna azzurra separatamente. Tra gli imputati si era instaurato "uno stabile rapporto finalizzato alla commissione di azioni predatorie sia pure a geometria variabile a seconda dei soggetti disponibili a seconda delle necessità, delle caratteristiche del locale dove operare e dei rapporti personali del momento tra i membri del gruppo criminale".