Esondazioni e morte a Senigallia dal 1765 "Ma era meglio quando non c’erano gli argini"

La ricostruzione storica e tecnica dell’ingegnere Alessandro Mancinelli presentata in tribunale nel processo per l’alluvione del 2014

di Andrea Massaro

Immagini sbiadite di una città che non c’è più. Vecchie Fiat fanno fatica a destreggiarsi nel fango e nell’acqua che ricopre i Portici Ercolani e il ponte Garibaldi. E’ un ritorno al passato, ma è uguale, identico al presente. Senigallia e l’alluvione sono purtroppo fratelli gemelli. Lo dice la storia, intrisa di melma sin dal 1765, almeno da quando si ha contezza della prima piena del Misa che ricoprì buona parte della città. Ma, come spiega anche l’ingegner Alessandro Mancinelli in una relazione presentata in qualità di consulente in tribunale nell’ambito del procedimento che si è aperto per l’alluvione del 2014 paradossalmente la situazione era migliore per Senigallia quando buona parte della città non esisteva ancora e gli argini del fiume non erano ancora stati realizzati.

"La conformazione attuale del fiume Misa – scrive il tecnico che Senigallia la conosce molto bene – derivante dalla costruzione delle arginature effettuate negli anni ’20, presenta una forte restrizione del tratto cittadino (centro storico). La presenza dei cinque ponti restringe ulteriormente la sezione di deflusso creando vie preferenziali per l’acqua tracimata. Nel tratto cittadino possono transitare portate con tempi di ritorno minori di dieci anni, mentre le sezioni con argini in terra (tratto di campagna) possono far defluire, in condizioni di manutenzione ottimale portate con tempi di ritorno di 200 anni". L’ingegner Mancinelli arriva alla conclusione che "l’esame della documentazione storica reperita ha dimostrato che l’area cittadina soggetta ai maggiori allagamenti è quella del quartiere Porto e del Foro Annonario dove per effetto delle quote del terreno arriva l’acqua fuoriuscita dai ponti" Esattamente le stesse aree finite sott’acqua quest’anno. Secondo il tecnico non ci sono dubbi: "Ridurre la perimetrazione delle aree ad elevato rischio. La costruzione delle vasche di espansione potrebbe eliminare il rischio".

La sequenza storica che ha interessato Senigallia e i suoi abitanti, ma anche quelli delle zone di campagna a ridosso della città nelle aree di Vallone e Cannella, è impressionante. Da una prima ricostruzione risulta che allagamenti della città di Senigallia si sono verificati negli anni 1765, 1892, 1893, 1895, 1896, 1897, 1900, 1904, 1905, 1926, 1940, 1944, 1955, 1976, 1982. Del fiume si lamentavano allagamenti con frequenza annuale quando, prima del 1923, non era provvisto di arginature. Tanto che nel 1914 si costituirono in Consorzio Idraulico per provvedere alla costruzione degli argini dalla Bassa di Ripe sino all’abitato di Senigallia. "Le notizie di carattere tecnico su questi eventi – scrive Mancinelli – sono, piuttosto scarse. Utili informazioni si possono però trarre da alcune foto che riguardano gli eventi maggiori e cioè le piene del 1897, 1900, 1940 e 1976. Per decenni, quindi l’intera area dal Nevola al Misa è stata soggetta a piene ed esondazioni, con gli stessi identici effetti che si sono ripetuti nel 2014 e ancor più quest’anno. Solo nel 2000 la Regione Marche tramite l’Autorità di Bacino Regionale ha approntato una delimitazione delle aree a rischio idraulico e idrogeologico che ha trasmesso al Comune di Senigallia il 13 aprile del 2000 chiedendo al Comune stesso di presentare eventuali osservazioni di carattere tecnico. L’Autorità di Bacino Regionale ha precisato che le aree a rischio ‘siano, in questa prima fase, individuabili su base storica o geomorfologica’".

A quel punto il Comune di Senigallia ha chiesto la consulenza all’ingegner Mancinelli per quanto concerne il rischio idraulico. Il territorio è stato diviso in tre fasce di rischio. Molto elevato R4, per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distribuzione di attività socio-economiche. Una delle aree perimetrata, la R4, stabilisce un rischio molto elevato.

La normativa, però, non chiarisce come debba essere correlata la probabilità di occorrenza dell’evento di progetto con i livelli di rischio. "Va considerato – scrive Mancinelli – che l’evento catastrofico caratterizzato con tempi di ritorno di 300-500 anni difficilmente può essere mitigato con interventi antropici (costruzione di arginature o casse di espansione ecc.) che risulterebbero inattuabili sia per i costi sia per l’impatto ambientale prodotto. Il fiume Misa è arginato per la quasi totalità del suo tratto di valle con una sezione che si restringe nella parte terminale all’interno del centro storico di Senigallia. La capacità di deflusso, in condizioni di manutenzione ottimale, della parte con argini in terra è notevolmente superiore a quella del centro storico dove sono presenti inoltre dei ponti con luci non adeguate. La portata che il tratto terminale del Misa può smaltire è di circa 350 metri cubi al secondo mentre nelle sezioni con arginature in terra possono transitare anche 800 metri cubi al secondo sempre se la sezione idraulica originale viene mantenuta in condizioni di efficienza". La portata dell’esondazione di giovedì scorso sia a monte che a valle del Misa è stata di gran lunga superiore. E le manutenzioni degli argini, eseguite in modo approssimativo, non hanno minimamente contribuito a bloccare il deflusso delle acque. Anzi. Potrebbero essere state proprio uno dei problemi principali. "Le arginature del tratto di fiume all’interno del centro storico possono contenere piene con tempi di ritorno inferiore ai 1O anni" evidenza l’ingegner Mancinelli. Il Misa è un fiume a carattere “torrentizio” come la grande maggioranza dei fiumi marchigiani e passa "da portate nulle nel regime di magra a portate di piena di centinaia di metri cubi. Questo – si legge nella relazione – è dovuto alla conformazione morfologica del bacino (pendenza dei versanti, lunghezza dell’asta principale) alla sua impermeabilità (secondo i parametri del Servizio Idrografico la permeabilità del bacino idrografico sotteso alla stazione idrometrografica di Vallone è del 91,5%), alla presenza nel tratto montano collinare di due affluenti di uguali dimensioni quali il Misa stesso ed il Nevola che confluiscono entrambi nel tratto vallivo provocando forti incrementi di portata. La necessità di smaltire le portate di piena si è scontrata nel passato con l’utilizzazione del porto canale per attività legate alla pesca ed al commercio (Fiera di Senigallia)".

Nel 1920, il fiume perse definitivamente la sua antica funzione di porto fluviale. "Rimase il problema delle piene che l’ingegner Mederico Perilli affrontò allargando la sezione di tutto l’alveo sia nella parte terminale che in campagna e costruendo argini in muratura nella parte che interessa la città ed in terra nei restanti tratti. I lavori terminati nel periodo 1920-30 non hanno praticamente subito modificazioni mentre la città ha avuto un grande sviluppo economico urbanistico che la costringe sempre più ad un rapporto corretto con il fiume".

La conclusione a cui giunge l’ingegner Mancinelli, è che le vasche di espansione sono l’unica soluzione per tentare di limitare i danni.