Evasione fiscale e riciclaggio con la Pivetti, a giudizio il pilota Leo Isolani

Evasione fiscale e riciclaggio con la Pivetti, a giudizio il pilota Leo Isolani

Evasione fiscale e riciclaggio con la Pivetti, a giudizio il pilota Leo Isolani

Con l’accusa di evasione fiscale e autoriciclaggio l’ex presidente della Camera Irene Pivetti è stata mandata a processo a Milano per alcune operazioni che, si ipotizza, sarebbero servite per ripulire denaro frutto di illeciti fiscali. Si è chiusa così l’udienza preliminare davanti al gup Fabrizio Filice il quale, oltre alla ex parlamentare e ora operatrice in una mensa sociale, ha disposto il rinvio a giudizio anche per il pilota di rally ed ex campione di Gran Turismo, l’anconetano Leonardo Leo Isolani, la moglie Manuela Mascoli, la figlia di lei Giorgia Giovannelli, il notaio Francesco Maria Trapani e un altro imprenditore, Candido Giuseppe Mancaniello. "Questa vicenda è talmente complicata - è il commento di Filippo Cocco, difensore di Pivetti - che non può che trovare in aula la soluzione. Siamo certi che dimostreremo la liceità delle operazioni effettuate". Nell’inchiesta, coordinata dal pm milanese Giovanni Tarzia e condotta dal Nucelo di polizia economico finanziaria della Gdf, viene ipotizzato un ruolo di intermediazione di Only Italia, società riconducibile a Pivetti, in operazioni del 2016 del Team Racing di Isolani, che voleva nascondere al Fisco (aveva un debito di 5 milioni) alcuni beni, tra cui le tre Ferrari. Le auto sarebbero state al centro di una finta vendita al gruppo cinese Daohe per poi, invece, essere trasferite in Spagna, dove ci sarebbe stato il tentativo di venderle. L’unico "bene effettivamente ceduto, ovvero passato" ai cinesi, ricostruisce il capo di imputazione, sarebbe stato "il logo della Scuderia Isolani abbinato al logo Ferrari". Se lo scopo di "Isolani e Mascoli" era quello "di dissimulare la proprietà dei beni e sottrarli" all’Erario, "l’obiettivo perseguito da Irene Pivetti" sarebbe stato quello "di acquistare il logo Isolani-Ferrari per cederlo a un prezzo dieci volte superiore al gruppo Dahoe, senza comparire in prima persona": per la Procura l’ex presidente della Camera, avrebbe comprato il marchio per 1,2 milioni di euro per poi rivenderlo alla società cinese a "10 milioni".