Ferroviere ucciso dall’amianto: un milione di euro alla famiglia

Rfi condannata a risarcire la vedova, i figli e i nipoti. "Sentenza storica con la sola azienda imputata"

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di Pierfrancesco Curzi

Manovale e poi manovratore per Ferrovie dello Stato ucciso dall’amianto, i familiari vincono la causa e ottengono un risarcimento di oltre 800mila euro. Una buona notizia che lenisce in parte il dramma per i figli ed i nipoti di un anconetano morto nel gennaio del 2016, stroncato da un mesotelioma pleurico. La sentenza emessa lo scorso mese di novembre dal giudice del lavoro Tania De Antoniis ha condannato l’azienda delle ferrovie, oggi Rfi (Rete ferroviaria italiana), a pagare il risarcimento.

Non è la prima volta che accade ad Ancona, ma nel precedente caso Rfi era inserita in una causa assieme a Fincantieri per la morte di un uomo che aveva lavorato in entrambe le aziende. I due casi, così come altre decine legate alle morti sul lavoro da amianto ad Ancona, sono state seguite dagli avvocati Rodolfo e Ludovico Berti dell’omonimo studio legale dorico.

Tornando alla vicenda in questione, il protagonista della storia è un anconetano del 1936 che ha lavorato per tutta la vita in Ferrovie dello Stato con una serie di incarichi e di mansioni. In particolare dal 1962 al 1988, ossia nel periodo in cui l’amianto è stato utilizzato alla massima potenza nel sistema industriale italiano. La prima parte della sua vita lavorativa l’ha svolta nei magazzini e nei depositi in diverse stazioni del Paese, in particolare a Milano, come manovale, poi la stessa tipologia di lavoro l’ha ricoperta anche alla stazione di Foligno. Successivamente è stato avvicinato ad Ancona e la sua qualifica è passata a quella di manovratore. Nello specifico il soggetto di occupava di creare e seguire i convogli fino a destinazione. Ad Ancona in quegli anni, ciò significava accompagnare i treni in porto attraverso la stazione marittima e fino al cantiere navale. Dentro e fuori dai depositi carichi di amianto, a bordo treno con i ferodi dei freni che emettevano polvere e particelle del minerale killer. Una volta smesso di lavorare l’uomo non ha avuto disturbi legati a quel problema, ma come avviene sempre, la terribile diagnosi di mesotelioma pleurico è arrivata molti in là negli anni, nel 2015. Da quel momento per lui la vita è stata un incubo. Una vita lunga pochi mesi: "Il mesotelioma gli è stato diagnosticato il 7 luglio del 2015, l’11 gennaio del 2016 è morto - spiega l’avvocato Rodolfo berti -. Sei mesi di terribile sofferenza, per lui e per tutti i suoi familiari, scene che non si augurano davvero a nessuno. Parliamo di una patologia bruttissima che non dà scampo e rende l’esistenza un inferno. Da qui la scelta dei figli e dei nipoti di fare causa a Ferrovie dello Stato. Complessivamente gli eredi hanno ottenuto un risarcimento di oltre 800mila euro, la sentenza è stata esecutiva, ma Rfi farà sicuramente ricorso".