"I giovani vivono l’età del nichilismo Si anestetizzano per paura del futuro"

Intervista al filosofo: "Ad Ancona venivo da ragazzo per prendere il traghetto. Le persone temono di conoscersi"

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di Nicolò Moricci

Incontriamo Umberto Galimberti nella hall dell’Hotel Palace, a due passi dal porto di Ancona. Professore, si sente più filosofo o psicanalista?

"Filosofo. Gli psichiatri devono imparare dai filosofi a fare il loro lavoro. Sono stati i filosofi a cambiare la psichiatria".

Che rapporto ha con Ancona? "Ci venivo da giovane per il traghetto. E con le Marche nessuna relazione affettiva".

Ne ‘Il libro delle emozioni’ scrive di mente e cuore. Chi vince?

"Il cuore, i cui moti sono razionalizzati dalla mente. Le emozioni nascono nel cervello antico, sotto la corteccia celebrale, rispondono a un rapporto col mondo, ma vanno controllate. Affidarsi alle sole emozioni sarebbe un disastro".

Oggi c’è più libertà nel fare psicanalisi…

"In terapia sono ormai solo le donne a essere in grado di trarre frutti, perché hanno psiche e preferiscono conoscersi. Gli uomini di oggi sono così elementari che quando vanno in psichiatria non vogliono conoscere sé stessi, ma risolvere i loro problemi momentanei. Poi, per fare psicoterapia ci vuole un minimo di cultura. E siccome in Italia il livello culturale si abbassa ogni giorno di più, allora avremo sempre meno persone idonee a farsi curare, perché curare in ambito psichico significa conoscere sé stessi".

Le persone sono disposte a conoscersi?

"Mi pare di no".

Lei è stato in psicoterapia?

"Per diventare psicanalista devi fare almeno 10 anni di sedute". E si è conosciuto?

"Non solo. Sono andato in manicomio 3 anni per vedere le cose in grande. Non puoi conoscere le nevrosi se prima non vedi le psicosi, pazzia allo stato puro". Cosa le insegnano i suoi pazienti?

"Niente, mi pongono i loro problemi e io li aiuto a risolverli, dando loro strumenti. I soliti psicanalisti tacciono, ma così non si finisce mai. Io invece parlo molto, in modo che in 1-2 anni siano strumentati per la vita". Ha rimpianti?

"Quello di aver solo studiato. Sono in credito col mondo della vita, deve restituirmi qualcosa". Cosa vuole?

"Nulla, non sopporto le masse, gli applausi. Finita la conferenza, me ne vado".

È schivo?

"No, mi interessano i rapporti duali, in cui c’è intensità comunicativa".

Dice di non essere un pacifista.

"Infatti. Chi non vuole la pace? Ma finché i pacifisti non mi mostrano come si fa ad avere la pace, questa è una parola vuota. Se la Russia depone le armi finisce la guerra, se l’Ucraina depone le armi finisce l’Ucraina".

Teme la morte?

"Non ho paura di niente, ho una mentalità greca. La morte è ciò che ci attende senza speranza ultraterrena, è la segnaletica del limite. Chi conosce il suo limite non teme il destino".

Noi lo conosciamo?

"No, i greci avevano incatenato Prometeo, dio della tecnica. Noi lo abbiamo scatenato e ora la capacità di fare con la tecnica supera la capacità di prevedere gli effetti del nostro fare".

Tanti giovani in platea…

"Mi vogliono bene, perché pare sia l’unico che li abbia interpretati. Ho detto loro che vivono nell’età del nichilismo. Manca lo scopo, il futuro per loro è una minaccia imprevedibile. Perché devo lavorare, studiare o vivere se il futuro non è attrazione ma minaccia? Si drogano e bevono non per il piacere della sostanza, ma per anestetizzarsi dall’angoscia che provano quando guardano al futuro".

Ammonisce i genitori che dicono ‘ai miei tempi’.

"Padri e madri di oggi hanno vissuto l’epoca di un futuro aperto. Io nel ‘64 non ero laureato e già insegnavo filosofia, poiché non c’erano filosofi. Laurearsi oggi in filosofia significa non insegnarla mai. Il futuro è spento. Nella vita ci muoviamo perché qualcosa ci attrae e non perché qualcuno ci spinge. E se i giovani non hanno nulla che li attrae, cosa dovrebbero fare?"

Cosa direbbe a un genitore?

"Di parlare coi figli fino ai 12 anni. Poi, le sue parole sono vane".

E ai figli?

"Che il futuro è loro. Prendetevelo, datevi da fare. Nel ’68, ci si prese il futuro cambiando le forme della società. Da autoritaria divenne più libera".

Come si prende il futuro?

"Ognuno segua la sua strada". ‘Il nazismo è un teatrino di provincia rispetto alla tecnica’. "Lo disse Gunther Anders. La tecnica, come il nazismo, prevede di seguire le azioni prescritte dall’apparato. Devi eseguire, non importa se sei o meno d’accordo. Come nel nazismo".

Spera ancora nell’umanità? "’Speranza’ è una parola che non è più nel mio vocabolario, un palliativo inutile a cui si affida la gente che non accetta (e rifiuta) di essere in un’età nichilista perché non vuole vedere la realtà. I politici dicono ‘speriamo, auspichiamo’ perché stanno fermi sperando che il futuro rimedi al presente. E invece no. Il futuro non porterà alcun rimedio se non ti dai daffare. Bisogna agire nella vita. Il senso della vita è ciò che hai fatto".