"Il linguaggio dell’arte per parlare di attualità"

Domani scatta la nuova edizione del festival Inteatro, il direttore Velia Papa: "Nessuna presa di posizione, vengono indicate delle strade"

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Un uomo capovolto letteralmente ‘piantato’ in un bosco, con testa e spalle nascoste sotto terra. Un uomo che non può vedere né ascoltare nulla, dunque. Qualcuno lo potrebbe definire fortunato, visto che la realtà di fronte ai nostri occhi di ‘animali evoluti’ del terzo millennio parla di guerre, pandemie e disastri ambientali.

L’uomo è l’artista belga Benjamin Verdonck, più volte ospite a ‘Inteatro’, e campeggia sul manifesto dell’edizione numero 43 del festival, che inizierà domani a Polverigi. Un’apparente rinuncia a vedere, capire e agire che la rappresentazione artistica trasforma nel suo contrario. ‘Inteatro Festival’ parlerà dei nostri tragici tempi, non metterà la testa sotto la sabbia (la terra), ma lo farà a suo modo.

Velia Papa, direttore generale e direttore artistico di Marche Teatro, definisce infatti quella di Verdonck "un’azione dimostrativa poetica e ‘politica’ che illustra un Festival che ambisce a riportare sulla scena i grandi temi della nostra attualità mediati dal linguaggio dell’arte".

Dunque non bisogna aspettarsi ‘spiegazioni’ di quello che sta succedendo nel mondo dagli spettacoli?

"No, perché l’arte non spiega, non dà risposte. L’arte tocca i nostri sentimenti, il nostro immaginario. Lancia dei segnali, che il pubblico è chiamato a cogliere. Attraverso quello che noi ‘sentiamo’ grazie all’arte, poi, è possibile che ci sia un cambiamento a livello di atteggiamenti".

Tutto questo in totale libertà, si presume.

"Gli artisti non devono proporre una posizione ideologica. Al massimo possono indicarci delle strade, che sta a noi scegliere, o non scegliere. Il Festival infatti non ha un titolo, ma solo un’immagine. Questo perché non vuole indirizzare il pubblico. L’obiettivo è che ognuno componga il ‘suo’ festival, e che alla fine della serata si ritrovi con nuove idee e suggestioni, magari grazie anche all’incontro con gli altri spettatori".

Nella presentazione lei cita Hannah Arendt: ‘E’ l’uso della ragione che ci rende così pericolosamente ‘irrazionali’. La pratica della violenza, come ogni azione, cambia il mondo, ma il cambiamento più probabile è verso un mondo più violento’.

"La Arendt bisogna tenerla sempre presente, soprattutto in periodi come questo. Sappiamo bene che la violenza porta violenza".

Forse il pubblico si aspetterà messaggi ‘espliciti’ contro di essa, contro la guerra, sua manifestazione più clamorosa.

"L’arte, ripeto, è un linguaggio universale che parla a livello di emozioni. Al suo interno poi ci sono linguaggi molto diversi, e il festival in tal senso è molto denso. Ci sono tante cose, raccontate con gli stili più vari. Il coreano Jaha Koo attraverso la sua biografia racconta vent’anni di storia della Corea. Dalla piccola storia alla grande Storia. E’ molto interessante. Ma il linguaggio di Koo è diversissimo da quello di Bert and Nasi, ad esempio, il cui lavoro tocca temi universali con un metodo di costruzione che permette di conservare leggerezza e ironia. L’arte è fatta anche di contrasti. E forse che la vita non è fatta di contraddizioni?".

Raimondo Montesi