Il vescovo Spina: "Ogni giorno di vita è dono La morte va accettata e mai provocata"

Intervista all’alto prelato sul primo caso in Italia proprio nella nostra provincia: "La Chiesa è per stare accanto alle persone che soffrono"

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Claudio

Desideri

a morte va accettata ma non provocata". Parole queste di monsignor Angelo Spina, Arcivescovo metropolita di Ancona Osimo, che il Carlino ha intervistato ieri quando ancora non era giunta la notizia del decesso di Mario, il quarantaquattrenne di Senigallia che ha ottenuto il via libera, primo in Italia, per il suicidio medicalmente assistito.

Monsignore, qual è la posizione della Chiesa Cattolica nei confronti del suicidio medicalmente assistito?

"La Chiesa Cattolica ha rispetto di ogni persona e si ferma di fronte al mistero della sofferenza e della malattia. E’ per lo stare accanto, prendersi cura con tutti i modi possibili, cioè curare. La scienza e la medicina ci danno tanto per curare, le cosiddette cure palliative. La vita è un dono e non va toccata mai. Quando affermiamo il principio che ognuno può determinare della sua vita, arriviamo ad una conclusione che non ci prendiamo più cura degli altri in tutti i sensi. La vita è un punto fermo, possiamo solo stare accanto, curarla, accompagnare, stare vicini ma non andare a provocare la morte. La morte va accolta ma non va provocata da nessuno".

In Italia c’è una sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che rende possibile la richiesta del suicidio medicalmente assistito...

"Viviamo in una cultura, come è stata già definita da tempo, della morte. Noi invece dobbiamo promuovere la cultura della vita che è il bene. Non è solo un bene soggettivo e personale. Perché la vita è legata a chi ce l’ha donata e a tutta l’umanità. E’ un bene di cui dobbiamo rendere conto a noi stessi, ma anche agli altri. Questo è il principio di una relazione dell’umanità. Se lo togliamo, tutto crolla e si possono aprire scenari impossibili da controllare e capire. Ci sono i casi della soggettività, della sofferenza e della malattia e di questi dobbiamo prenderne atto, ma i casi di soggettività non possono assurgere a legge universale".

Nei casi in cui una persona ha una grave malattia e sa che non è curabile cosa si dovrebbe fare?

"Mi ha sempre colpito una scritta in un ospedale: ‘in questo ospedale mettiamo tutto l’impegno per guarire. Se non ci riusciamo tutto l’impegno per curare. Se non ci riusciamo tutto l’impegno per consolare’. Stare vicino a chi è solo è la via più importante. Durante il Covid abbiamo visto come negli ospedali i medici e gli infermieri si sono impegnati per salvare tante vite umane quando erano in extremis. Perché la medicina e la scienza devono essere al servizio della persona umana e devono promuovere tutto il bene della salute e della vita e non togliere. In fondo è quello che afferma il giuramento di Ippocrate. Curare con la medicina, non dare la morte con la medicina". Quale conforto può dare un sacerdote al malato che ha preso la decisione di un suicidio medicalmente assistito e alla sua famiglia?

"Il primo conforto è stare con chi è solo, perché queste situazioni sono terribili nella vita personale e famigliare. Stare accanto alla persona malata sull’esempio di Gesù che è stato il buon Samaritano che si è preso cura del malcapitato. La Chiesa sta vicino con le persone, con la preghiera per leggere nella sofferenza una via possibile, per umanizzarci perché con Gesù la sofferenza è divenuta una via salvifica. La via della Croce non è la via della morte ma la via della vita. Se alla ragione umana, che ha tanta luce per capire, si aggiunge il dono della fede allora noi ci prenderemo sempre cura degli altri e nella sofferenza faremo tutto il possibile perché nessuno si senta solo ma trovi vicinanza, consolazione e cura che gli allevi il dolore".

Monsignore, se avesse avuto la possibilità di incontrare Mario che cosa gli avrebbe detto?

"Più che dire parole gli starei accanto come sto accanto a tante persone che mi insegnano come vivere nella sofferenza. E dire che ogni giorno di vita è un dono in più, perché la vita è sempre un più rispetto al meno della morte".