Il viaggio nella catastrofe

L’ex Tubimar "cotta" a 700 gradi "Un miracolo ha evitato il crollo"

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di Pierfrancesco Curzi

I pilastri in acciaio ripiegati su loro stessi, la struttura crollata in più punti, travi e tubazioni penzolanti e il sole che penetra all’interno dell’area incendiata regalando forme e ombre spettrali. Non c’è più vita dentro il corpo centrale del capannone distrutto all’ex Tubimar. Dentro non restano che desolazione e macerie. Il silenzio rotto soltanto dalle operazioni di bonifica da parte dei vigili del fuoco. I caterpillar rimuovono i detriti a terra e i pompieri a mano irrorano le parti per scongiurare la ripresa di ulteriori focolai. Dentro quel capannone si è raggiunta una temperatura vicina ai 700°, l’inferno insomma. Ora restano soltanto gli scheletri e le macerie ammassate. Una parte del capannone era dedicata al deposito di materiale per le navi da crociera in allestimento allo stabilimento Fincantieri. Svariate forniture, tra cui migliaia di piattini e tazze, cumuli di forni a microonde, di mobiletti in acciaio. Sagome imperfette di prodotti da smaltire. Soltanto temperature del genere possono aver ridotto la struttura del capannone in quel modo: "Paradossalmente, se l’edificio fosse stato concepito interamente in calcestruzzo _ spiega il personale dei vigili del fuoco impegnato nel delicato intervento _ sarebbe stato molto peggio. Una volta arroventata dal fuoco la struttura sarebbe implosa, cedendo e crollando internamente, rendendo le nostre operazioni ancora più difficili. In questo caso la vera problematica è stata quella di poter raggiungere il centro del rogo a causa delle alte temperature e del tipo di struttura". Il fronte del rogo è stato arginato e spinto dove non poteva fare più male. Risparmiati alcuni siti sensibili, l’area sempre più circoscritta, con pazienza, metro dopo metro. Se l’incendio fosse sfuggito di mano rischiava di aggredire anche le altre strutture limitrofe e a quel punto si sarebbe rischiato il disastro. Il punto dove gli inquirenti pensano si sia originato l’incendio è il lato corto del capannone, quello che dà su via Mattei, sul fosso Conocchio e i cantieri navali.

I vigili hanno provveduto a smassare parte del materiale bruciato. Impressionanti i mega-rotoli di carta che hanno fornito terreno fertile al fuoco, così come le cataste di gommapiuma. A causare parte del fumo nero è stato il materiale in poliuretano contenuto dentro alcuni container.

La forza devastante del fuoco ha deformato i parallelepipedi di acciaio. Per domare quel fumo intenso e tossico e raffreddare poi il container i pompieri hanno impiegato ore. La carta e la gommapiuma hanno avuto la funzione di acceleratori dell’incendio, ecco perché in così poco tempo il rogo ha devastato una superficie così ampia. Dentro il capannone c’era di tutto, compresi dei mezzi, auto e furgoni, ovviamente ridotti a delle carcasse inservibili. L’intera area galleggia su un palmo d’acqua e fanghiglia prodotto dalle pompe in azione da quasi tre giorni. Ci vorrà del tempo prima di vedere l’area liberata dall’enorme cumulo di macerie e solo allora si potrà parlare di rinascita.