"Io, cardiochirurga inviata al fronte"

Federica Iezzi nell’inferno Yemen "Opero le vittime del conflitto"

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di Pierfrancesco Curzi

Dagli interventi di cardiochirurgia pediatrica all’ospedale di Torrette al lavoro sotto le bombe nella guerra in Yemen. Federica Iezzi, giovane cardiochirurga in servizio presso l’unità diretta dal dottor Marco Pozzi, è tornata al suo lavoro originario da pochi giorni dopo aver trascorso sei mesi intensi nell’ospedale di al-Mokha, località della costa occidentale del Paese martoriato da una guerra che dura da oltre sei anni. La Iezzi ha operato all’interno di una struttura di Medici Senza Frontiere, la grande organizzazione internazionale che proprio nel 2021 compie 50 anni dalla sua fondazione: "Sono partita lo scorso ottobre per lo Yemen e sono stata inserita operativamente nell’ospedale che si trova tra le linee principali del fronte del conflitto, tra i governatorati di al-Houdeyda e Ta’izz _ racconta al Carlino la cardiochirurga di origini abruzzesi, ma ormai anconetana d’adozione _. Un progetto chirurgico che abbraccia l’area con le linee attive del fronte. La mia attività è stata rivolta alle vittime del conflitto nell’unico ospedale della zona che fornisce cure di eccellenza chirurgica e di qualità per le vittime civili. Ad al-Mokha, inoltre, ho cercato di formare quanto più possibile lo staff nazionale sulla parte chirurgica, sulla parte intensivistica e sulla parte neonatologica. Purtroppo sempre più spesso in Italia la formazione negli ospedali è molto carente".

Lavorare in un ospedale per feriti di guerra significa trovarsi davanti casi drammatici: "La maggior parte dei feriti, e purtroppo anche delle vittime, arrivavano da noi per motivi bellici _ racconta la Iezzi _. Persone ferite da colpi d’arma da fuoco, gente saltata sulle mine antiuomo oppure coinvolte nei bombardamenti. Non è facile restare freddi davanti a scenari simili, specie per chi, come me, fino a pochi giorni prima operava in un ospedale italiano, nonostante la pandemia. In ospedale però arrivava anche altro, soprattutto donne con gravidanze che avevano superato i termini, senza controlli, con infezioni, sanguinamenti. In effetti la mortalità infantile in Yemen è altissima, e poi ci sono le vittime causate dagli incidenti stradali: i locali guidano come pazzi e le strade a causa della guerra sono un disastro".

La giornata tipo di una missione come quella della dottoressa Iezzi in uno scenario di guerra è molto complessa: "Sveglia presto e poi trasferimento in ospedale, sempre a bordo di un mezzo per la sicurezza, primo giro visite alle 8 e poi via alla parte chirurgica. In una giornata normale si facevano dieci interventi, ma dopo azioni militari potevano raddoppiare a causa delle emergenze. Ricordo turni in cui arrivavano ambulanze con a bordo fino a 10 pazienti in una botta, scene difficili da raccontare. La sera poi tutti a casa, parlo degli internazionali, senza poter mai uscire, a vivere attaccati ad un gruppo elettrogeno perché il governo locale riesce appena a garantire sei ore al giorno di energia elettrica". Ora il ritorno all’attività chirurgica a Torrette: "Non è facile passare da uno scenario simile a questo che però è il mio lavoro. Ripartire per altre missioni? Vedremo".