"La mia vita con polmoni trapiantati Ragazzi, mettetevi quelle mascherine"

La testimonianza di Giovanni Mengucci, studente di Marzocca, colpito da bambino dalla fibrosi cistica "Mi fa arrabbiare quando vedo certi miei coetanei che non rispettano le regole e fuggono a San Marino"

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di Sara Ferreri

"Sono ormai maggiorenne ma questo in realtà è un po’ come il mio primo anno di vita. Questo virus da marzo mi costringe a casa, ma capisco che è per il bene di tutti e vedere i miei coetanei che se infischiano delle regole mi fa arrabbiare". Giovanni Mengucci, studente di Marzocca, a soli 3 mesi ha avuto la sentenza: fibrosi cistica, malattia che colpisce 6mila persone in Italia. In adolescenza convivere con la malattia è stato difficile tra terapie, lunghi ricoveri e pochissima vita sociale. Due anni fa la sua situazione clinica è precipitata, fino al trapianto di polmoni che il 17 gennaio dell’anno scorso gli ha restituito la vita.

Giovanni Mengucci, come sta?

"Ora bene. Purtroppo sono un po’ recluso in casa per questo virus. Da marzo ho fatto due tamponi, l’ultimo nei giorni scorsi perché avevo avuto dei lievi sintomi, ma per fortuna non si trattava del Coronavirus".

Ha paura di questo virus?

"Ho dei medici che mi seguono che sono davvero scrupolosi e questo mi conforta. Cerco di uscire il meno possibile. Da qualche mese ho una fidanzata e stiamo in casa senza troppi contatti con l’esterno. Stiamo bene e spero solo che questo incubo finisca e spero di poter tornare al mare come ho fatto questa estate. Devo dire la verità questa estate me la sono proprio goduta. Per tutti il virus sembrava lontano e invece siamo tornati di nuovo con tanti pazienti ricoverati e un picco di contagi". Esce con i suoi coetanei?

"Poco e poi quando lo faccio mi arrabbio perchè vedo tanti giovani che sono incuranti delle regole. Non mettono la mascherina e non rispettano le regole. Ho saputo anche di ragazzi che nelle scorse settimane quando già il virus era tornato a farsi sentire ed era stato messo un freno alla movida salivano per il week end a San Marino dove i locali erano ancora aperti. All’inizio non credevo davvero alle mie orecchie. Io sono molto attento, di più certo per il fatto che ho dei polmoni trapiantati a cui devo la mia vita. Ma mi arrabbio anche per gli altri, perché questo virus ci sta portando via i nonni, le persone più grandi di noi".

Nei mesi scorsi aveva incontrato i giovani, per raccontare la sua storia. Lo fa ancora?

"Purtroppo no, con il Covid è tutto fermo. Nei precedenti incontri ho cercato di spiegare quanto può essere importante la donazione. Ma ho detto anche di non lamentarsi se un sabato sera non si può uscire. Quando ero in ospedale vedevo sui social post di questo tenore e mi saliva una rabbia…C’è gente che sta male davvero, anche molto più di quanto lo sono stato io".

Lei adora il mare: cosa prova per la grande cicatrice che porta in petto?

"Devo dire che le persone mi guardano, è inevitabile. Ormai ci ho fatto l’abitudine e sinceramente preferisco chi chiede il motivo di quei segni rispetto a chi si limita ad osservare. Capisco che si può pensare di essere invadenti, ma io racconto volentieri la mia storia. Anche perché la donazione degli organi è un argomento poco conosciuto. E invece credo sia importante parlarne".