SILVIA SANTINI
Cronaca

La strage allo stadio 40 anni fa: "Noi, nell’inferno dell’Heysel. Schiacciati contro la balaustra"

Quel maledetto giorno alla finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus c’erano due cameranesi "Io sono un sopravvissuto, ma me la sono vista brutta. Avevo la gente addosso e non respiravo più" .

Quel maledetto giorno alla finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus c’erano due cameranesi "Io sono un sopravvissuto, ma me la sono vista brutta. Avevo la gente addosso e non respiravo più" .

Quel maledetto giorno alla finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus c’erano due cameranesi "Io sono un sopravvissuto, ma me la sono vista brutta. Avevo la gente addosso e non respiravo più" .

Al monumento nell’area sportiva di via Scandalli di Camerano alcuni membri della Camerano bianconera hanno depositato anche in queste ore una corona per ricordare quella tragedia a distanza di 40 anni esatti. Il 29 maggio del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles si consumò uno dei fatti più gravi della storia del calcio. Tutti se lo ricordano. Si giocava la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Poco prima del calcio d’inizio i disordini sugli spalti provocati dagli hooligans inglesi causarono la morte di 39 persone (32 italiani) e il ferimento di 600. Su quelle tribune c’era anche una decina di supporters arrivati dalle Marche, due in particolare da Camerano. Anche per questo nel 2021 Camerano ha deciso di rendere omaggio inaugurando quel monumento, dove spesso sportivi e comuni cittadini si fermano per una preghiera o un breve momento di raccoglimento.

I due amici quel momento ce l’hanno impresso in testa e non lo tolgono più, tanto che a parlarne anche oggi fanno difficoltà. Si commuovono, guardano a terra. "Sono un sopravvissuto, lì per terra disteso ci potevo essere io e forse ho camminato sopra uno di quei corpi. E’ tutto vivido ancora ma allo stesso tempo offuscato. Mi sono trovato schiacciato contro la balaustra, il respiro non veniva più su. Era come una barra a ferro di cavallo. La massa di persone mi premeva contro – racconta uno dei due cameranesi che non se la sente di far conoscere il suo nome – Non so ancora come ho fatto a scappare ma ho colto la prima occasione possibile. Non avevo capito ancora cosa fosse successo. C’erano i poliziotti e sono riuscito a evitare una manganellata. Un mio amico era ferito, si era portato negli spogliatoi, ma non mi sapevano dire dove l’avrebbero mandato. Non avevamo i cellulari e facevamo tutti difficoltà a contattare casa. Ce n’è voluto di tempo prima di connettermi con i miei cari e dire loro che stavo bene".

L’altro cameranese che era con lui, Adalberto Magnante, aggiunge: "Mi trovavo più lontano rispetto a lui, ero nella curva degli juventini. Lì per lì non realizzavo, non capivo cosa stava accadendo. Poi ho visto che tutti fuggivano verso di noi. Sono iniziate ad arrivare notizie sul numero dei morti. Ricordo volti, un anziano con il nipote in fuga, un altro uomo terrorizzato. Frammenti. Ricordo che le curve erano in uno stato pietoso e all’ingresso non mi hanno staccato nemmeno il biglietto. Il trauma dopo quell’episodio è stato grandissimo, per anni non sono andato a vedere una partita". Quel cippo commemorativo a Camerano, voluto dall’allora consigliere comunale Lorenzo Rabini con una mozione che aveva presentato in Consiglio, serve anche da monito affinché tragedie del genere non accadano più. All’inaugurazione alcuni anni fa i membri dell’associazione indossavano una maglietta con su scritto: "Per non dimenticare, Heysel, 25 maggio 1985 - Nessuna persona è morta finché vive nel cuore di chi resta".