"Le nostre Saman dimenticate nell’indifferenza"

L’avvocato Andrea Nobili, presidente della Camera minorile di Ancona, mette in guardia: "Anche qui studentesse destinate a nozze forzate"

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di Andrea Nobili *

La drammatica storia di Saman, la giovane ragazza di origini pakistane, scomparsa nella zona di Reggio Emilia, fa emergere un tema su cui, talvolta, sembra che non ci si voglia confrontare adeguatamente. Quello dei matrimoni forzati è un fenomeno non trascurabile che pone interrogativi scomodi, in una società caratterizzata dal multiculturalismo, soprattutto a chi, come il sottoscritto, si occupa di diritti civili e tutela dei diritti dei minori.

La vicenda di Saman, obbligata a un matrimonio contro la sua volontà, non è certo isolato: anche nelle città della nostra regione ci sono ragazze adolescenti, cui viene imposto di unirsi a uomini, spesso più grandi di loro. In taluni casi studentesse, che raccontano a scuola le paure derivanti dal rifiuto di sposare gli uomini con cui sono state costrette a fidanzarsi. Il sistema di protezione dei minori spesso si attiva, anche grazie alla premura di insegnanti che segnalano le situazioni più gravi alle istituzioni competenti. Ma quante sono le situazioni che invece non vengono alla luce? Quante le ragazze costrette ad abbandonare gli studi e “persuase” sin da bambine a vivere una condizione femminile lontana anni luce dalla, giustamente, tanto invocata parità di genere?

Un impegno importante quello sulla parità di genere che però, evidentemente, ha figlie e figliastre. Perché quella dei matrimoni forzati rischia di essere solo la punta di un iceberg che naviga in un mare di diseguaglianze. Non è arrivato il momento di accendere un faro sui tanti diritti negati a queste ragazze? Oppure, come dice Marwa Mahomoud, consigliera comunale di Reggio Emilia "si ha timore di intervenire sui temi dei diritti negati alle donne islamiche", perché "si corre il rischio di essere strumentalizzati e additati come razzisti?".

E allora, il punto che è necessario affrontare è quello della contrapposizione tra un’idea di comunità fondata su principi fondamentali (a partire da quelli dei minori), il cui rispetto è precondizione per un’effettiva integrazione, e una deriva identitaria che, in nome del relativismo culturale antepone l’appartenenza a microcosmi all’accettazione di regole universali. Regole che, però, non vengono percepite come rispettose della “sensibilità” del gruppo di cui ci si sente parte.

Non sarebbe male, se in tempi di movimenti che vogliono ridisegnare i rapporti tra uomo e donna, mettendo in discussione convenzioni superate, si riservasse una quota di indignazione anche per il destino di queste giovani, spesso minorenni, costrette al rispetto di tradizioni che violano la loro libertà.

* Avvocato, presidente della Camera minorile di Ancona