"Le risse tra ragazzi ci sono sempre state Ma il Covid ha aumentato la frustrazione"

La psicologa Trapanese analizza quello che sta succedendo in città: "I social sono un accelerante. I ragazzi non vedono una via d’uscita"

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di Marina Verdenelli

Ragazzini che passano il tempo libero a picchiarsi, sfogando rabbia e incertezze che assalgono la fascia degli adolescenti. Quanto accaduto sabato pomeriggio in centro città, o meglio quanto poteva accadere se i carabinieri non avessero intercettato le conversazioni sui social, pone una serie di interrogativi che riguardano i giovanissimi ma anche il mondo degli adulti che si trovano davanti fenomeni di violenza improvvisa. Per capire questo spaccato abbiamo interpellato una psicologa con studio ad Ancona.

Gloria Trapanese, i carabinieri hanno sventato una rissa con tanto di appuntamento circolato sui social network. Che sta succedendo ai giovani?

"Intanto comportamenti aggressivi da parte di ragazzini ci sono sempre stati. Questi in generale si manifestano per noia, moda, rabbia. L’adolescenza è di per sé un periodo che corrisponde alla trasgressione e in questo periodo particolare, riferito alla pandemia, in cui ci sono regole da seguire che impongono di evitare assembramenti, di non uscire, posso accadere certi fatti determinati da un minore sentimento di coesione e da una maggiore rabbia e frustrazione avvertita dai ragazzi. La prima rissa avvenuta a Roma (a dicembre, con centinaia di giovani anche senza mascherina che si erano dati appuntamento alla terrazza del Pincio, ndr) è avvenuta proprio per questo trasgredire alle regole".

Sono episodi gravi che possono perdurare nel tempo o limitati al momento?

"La violenza è sempre grave quando si verifica e va condannata. Possono ripetersi nel tempo sì come tutte le mode del momento ma non possiamo dare la colpa ai social. Le baby gang ci sono sempre state, adesso è cambiata la modalità con cui si mettono in contatto e si organizzano. I social indubbiamente accelerano il tutto, anche le mode, e velocizzano l’emulazione, anche a livello internazionale, che è insita nell’essere umano. Fin da piccoli siamo portati ad emulare gli altri, l’emulazione non è una cosa di adesso".

C’entrano la pandemia e l’isolamento forzato?

"Adesso c’è maggiore frustrazione e maggiore rabbia perché i ragazzi non vedono una via di uscita da questo periodo di restrizioni. Già hanno difficoltà gli adulti a gestire la situazione, figuriamoci le fasce più deboli come i giovani che sono già penalizzati con la didattica a distanza per quello che riguarda la scuola che prima costituiva un momento di svago per loro. Stando di più chiusi in casa usano di più i social e questo può avere incrementato o accelerato certe dinamiche anche perché c’è meno coesione".

Qualcuno li ha già etichettati la "generazione dei segregati". Perché reagiscono così?

"Sono dei messaggi che mandano, messaggi di insoddisfazione per una situazione incerta davanti a loro".

Come posso essere aiutati?

"E’ difficile dare una ricetta specifica, la parola chiave potrebbe essere la prevenzione, non puntare il dito verso i canali social vietando loro di usarli perché ogni impedimento è poi un motivo per trasgredire, piuttosto l’adulto potrebbe controllare e vigilare l’uso che i ragazzi fanno di questa tecnologia, parlare con loro, tenere in piedi sempre un dialogo in modo da spiegargli a cosa vanno incontro".

Le famiglie a quali segnali devono porre attenzione per accorgersi in tempo che un figlio si sta esponendo a qualcosa di sbagliato?

"L’eccessivo utilizzo dei dispositivi fatto in maniera segreta può essere un campanello di allarme, se li utilizzano di nascosto. Poi la chiusura in se stessi e anche i comportamenti aggressivi in casa sono i primi allarmi. È stato tolto tanto ai ragazzi in questo periodo. Nei casi più gravi è utile rivolgersi sempre a degli specialisti".