Le telefonate per chiedere soccorso "Ma la scatola nera non funzionava"

Chiamate alla sala operativa della Protezione civile durante l’alluvione: non ci sono le registrazioni "Sistema fuori uso da mesi". La beffa del piano: nei luoghi delle tragedie nessun rischio idrogeologico

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di Marina Verdenelli

Il sistema di registrazione delle chiamate di emergenza alla sala operativa unificata permanente (Soup) che fa capo alla Protezione civile regionale non funzionava da 5 mesi e nessuno se ne era accorto. È rotta la "scatola nera", che avrebbe potuto aiutare gli investigatori a fare luce su uno dei punti cruciali dell’inchiesta per l’alluvione di giovedì scorso, vale a dire che cosa è successo e cosa è stato fatto dal momento in cui arrivava la piena dei fiumi nei Comuni. Che il cervello elettronico della sala del principale organo predisposto alla sicurezza della popolazione marchigiana era fuori uso se ne sono accorti i carabinieri, che in questi giorni si sono recati proprio alla sede del Soup, di fianco alla Regione, cercando proprio i nastri delle conversazioni intercorse tra chi chiamava il numero verde, semplici cittadini o autorità, per chiedere soccorso, aiuti, o semplicemente per avvisare che stava arrivando il finimondo. Il sistema non registrerebbe nulla da aprile.

Per risalire alle chiamate e ai contenuti i militari hanno dunque chiesto i tabulati alle compagnie telefoniche in modo da rintracciare tutti i numeri che hanno chiamato il centralino quella sera e quella notte, ma anche tutte le chiamate fatte in uscita per quella stessa linea. Chiamando tutte quelle persone, si potrà avere un quadro preciso di quello che stava avvenendo. Dai primi accertamenti in corso alla documentazione prelevata sempre alla Soup e da quella a cui i carabinieri hanno avuto accesso da remoto semplicemente consultando piani e siti sulla rete, emerge anche un altro particolare che sconvolge.

Le zone di Barabara e Castelleone di Suasa, dove la piena del fiume ha strappato dalle mani della madre il piccolo Mattia, di otto anni, ancora tra i dispersi, e portato via Noemi Bartolocci (poi trovata morta) e sua madre Brunella Chiù (ancora dispersa), non rientrano tra quelle a rischio idrogeologico.

A dirlo è proprio il Pai, il piano di assetto idrogeologico, aggiornato a maggio scorso ed elaborato dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale, un ente pubblico non economico dove il segretario generale è nominato su proposta del ministro dell’Ambiente. Con questa classificazione bisognerà ora vedere se c’era l’obbligo giuridico di avvisare i sindaci e la popolazione e a quale ente nel caso spettava. I carabinieri hanno raccolto le testimonianze dei primi parenti delle vittime e dei dispersi, la mamma di Mattia e il fratello di Noemi Bartolucci, Simone, oltre ad alcuni componenti della Protezione civile regionale.

Mamma e figlio tornavano a casa quando sono stati travolti dalla piena. Mamma e figlia, invece, erano uscite di casa per portarsi al sicuro oltre il fiume, prendendo l’auto, ma non hanno fatto in tempo. A non aver funzionato la sera e la notte dell’alluvione sono stati anche gli idrometri lungo i fiumi Misa e Nevola, a Pianello d’Ostra e a Corinaldo, come già anticipato ieri dal Carlino. Non riuscirono a registrare l’arrivo dell’ondata di piena perché furono spazzati via oppure sommersi dall’acqua e dal fango nell’intervallo di tempo tra una misurazione del livello dei corsi d’acqua e la successiva. I dati non furono quindi inviati al centro funzionale per le previsioni meteo della Protezione civile regionale, per la comunicazione alla sala operativa e l’attivazione delle relative allerte. Il fascicolo aperto dalla Procura dorica è ancora contro ignoti, per inondazione colposa e omicidio colposo plurimo.