Coronavirus Ancona, Lorella Lombardelli "L'inferno del Covid mi ha segnata per sempre"

L’operaia 50enne di Castelbellino in coma per mesi: "Non avevo malattie pregresse, ma i medici mi davano per morta: attenti, può attaccare tutti"

Lorella Lombardelli nei giorni in ospedale

Lorella Lombardelli nei giorni in ospedale

Ancona, 30 ottobre 2020 - Porta i segni del Covid, nel corpo e nell’anima. Lorella Lombardelli, 52 anni, moglie e mamma di Castelbellino, ha deciso di rompere il silenzio dopo un calvario durato mesi. "Ho vissuto l’inferno – racconta – Ora che sto bene sono pronta a parlare e lo faccio mettendoci la faccia". Lorella è una delle pazienti della cosiddetta "prima ondata" sebbene faccia ancora i conti con gli strascichi della malattia: "Non sono ancora nelle condizioni fisiche di tornare al mio lavoro di operaia ma – spiega – nonostante tutto sono sopravvissuta".

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Lorella, quando sono arrivati i sintomi? "Tutto è iniziato con qualche linea di febbre e un leggero mal di gola. Il 19 marzo, con la temperatura ormai alta, ho iniziato a respirare male e ad avere i primi colpi di tosse. A quel punto il medico di famiglia mi ha indirizzata al Pronto soccorso di Jesi". Al Carlo Urbani, dalle lastre la diagnosi: è Covid... "Mi ricoverano e il 20 marzo mi portano in terapia intensiva, dove vengo intubata. A quel punto, vado in coma. Ma è solo l’inizio". Poi cosa è successo? "Subisco una tracheotomia e ripetuti cicli di pronazione. Sdraiata a pancia in giù, con il passare dei giorni sono apparse le prime ferite da decubito sul viso e alla testa. Ancora oggi sul mio volto sono evidenti le cicatrici e forse non andranno via più". Quanto è durato tutto questo? "Sono rimasta al reparto di terapia intensiva per un mese. Mi davano per morta. Quando dal coma ho ripreso conoscenza, non potevo parlare e comunicavo con i medici scrivendo, per quel che riuscivo, su un foglio. Poi grazie alle cure dei medici è iniziato il recupero". Le sue condizioni sono migliorate? "Sì. L’ho capito quando mi hanno trasferita al reparto sub intensivo e poi al Covid 3. Il 9 maggio finalmente mi dimettono e rientro a casa. Resto però in isolamento fino a tampone negativo". Oltre al fisico, il covid sembra aver messo a dura prova anche il suo spirito... "La solitudine è l’aspetto più devastante. Nei mesi trascorsi in ospedale non potevo ricevere nessuna visita. Gli unici contatti con la mia famiglia erano attraverso un tablet". Dove ha trovato la forza e la speranza? "Nello sguardo dei medici, degli infermieri e degli operatori che mi hanno assistito. Persone che fanno un lavoro estenuante ma che nonostante tutto mi hanno sempre fatto sentire la loro vicinanza, anche solo sorridendomi con gli occhi. Piccoli gesti che in quei momenti sono tutto. Non smetterò mai di ringraziare il reparto di Terapia Intensiva, diretto dal dottor Tonino Bernacconi, vero modello di buona sanità. Le dottoresse Antonella Jorio e Roberta Fabbracci sono state per me punti di riferimento. Così come il medico di famiglia, il dottor Giorgio Senesi". Cosa pensa di questa seconda ondata pandemica? "Ho deciso di raccontare la mia storia perché voglio che le persone capiscano: fate attenzione, il virus esiste e può attaccare tutti. Io non avevo malattie pregresse eppure ho rischiato di morire. Proteggete voi e gli altri, indossando correttamente la mascherina".