L’urlo delle discoteche ancora chiuse "Ormai siamo il capro espiatorio"

E’ l’unico settore lasciato ancora in stallo, i gestori non ci stanno: "Ormai siamo sull’orlo del fallimento. I giovani hanno bisogno di svago, si stanno registrando sempre più risse e assembramenti nei centri"

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di Sara Ferreri

Norme anti Covid meno stringenti per stadi, cinema e teatri ma le discoteche e i locali di intrattenimento notturno restano chiusi. Non c’è Green pass che tenga. Chi gestisce club e locali notturni al chiuso dopo un anno e sette mesi di chiusura è a dir poco scoraggiato. "E’ ora di allargare le maglie – sottolinea Simone Rachetta, jesino, direttore artistico assieme a Francesco Rossetti del Mamamia di Senigallia ma anche del Noir di Jesi e del Miami di Monsano – E’ in corso una deriva proibizionistica. Si sta calcando troppo la mano. E le discoteche sono il capro espiatorio. Soprattutto i più giovani hanno l’esigenza di svagarsi, di ballare. L’uomo balla da diecimila anni e lo fa per liberarsi, per sfogare stress e nervosismo che oggi vediamo sfociare invece in risse o occasioni violente nelle piazze e nei centri storici".

La mancata riapertura delle discoteche ormai da oltre un anno e mezzo ha inevitabili ricadute sociali, specie per i più giovani. "I ragazzi che vanno dai 16 ai 18 anni – aggiunge Rachetta – hanno trascorso periodi difficilissimi con lockdown e coprifuoco. Hanno riaperto gli stadi anche all’80 per cento e tutti i luoghi di spettacolo, a questo punto sono rimaste chiuse soltanto le discoteche che non possono nemmeno fare una programmazione, non avendo chiari gli scenari futuri. Altri Paesi come la Germania e la Svizzera hanno riaperto con l’utilizzo del Green pass e il controllo agli accessi. Noi siamo in grado di farlo evitando che si creino assembramenti e situazioni di rischio". Ma anche ripartire non sarà così semplice. "Chi lavorava nel nostro settore ha cercato e trovato altri lavori – spiega Simone Rachetta – Perché sono trascorsi quasi due anni e mezzo. Noi riusciamo a sopravvivere grazie soprattutto ad un’esperienza di 25 anni fatta di investimenti. Se fosse accaduto all’inizio quando avevo 18 anni, probabilmente avrei mollato. Devo dire che questa estate con Francesco Rossetti abbiamo riflettuto a lungo se lasciare l’ltalia per trasferirci in quei Paesi dove l’intrattenimento continua, in sicurezza, nonostante la pandemia. Ma abbiamo qui le nostre famiglie e abbiamo desistito. Vorremmo riaccendere i nostri locali per tantissimi giovani che non vedono l’ora di tornare nei club".

Ma come si riesce a sopravvivere? "Non grazie ai ristori che sono stati davvero poca cosa rispetto alle spese. Alcuni proprietari – riferisce ancora – ci sono venuti incontro nell’affitto. A Jesi ad esempio il circolo cittadino continua a chiederci un affitto, pur se ridotto, anche se siamo chiusi da febbraio del 2020. Resistiamo grazie ai risparmi soprattutto ma adesso è davvero ora di riaprire. Possiamo farlo in sicurezza".

Francesco Rossetti, rappresentante regionale Silb (associazione italiana imprese di intrattenimento) parla di un "settore vicino al fallimento con un 30 per cento dei locali che non riaprirà più. Siamo chiusi da febbraio 2020 e i ristori non sono stati assolutamente sufficienti. Non c’è ancora l’ufficialità – aggiunge Rossetti – ma le notizie che ci giungono purtroppo sono di una mancata riapertura, nonostante il Green pass e lo stato avanzato della campagna vaccinale. Lo trovo davvero assurdo: si può andare allo stadio, al palazzetto ma non in discoteca. Decisioni che non fanno altro che alimentare l’abusivismo, le feste private e in posti del tutto non sicuri e non controllati. Come vediamo si stanno creando assembramenti nei centri storici. A Jesi – aggiunge Rossetti – il sindaco ha dovuto emanare una ordinanza introducendo una sorta di coprifuoco e non mancano gli assembramenti. Noi nei nostri locali saremmo in grado di controllare il Green pass e contingentare gli accessi. Tra l’altro la situazione sanitaria ora è nettamente migliore. Stiamo cercando in ogni modo di far comprendere questi elementi perché i nostri locali sono stati chiusi già troppo a lungo".