Musica d’autore, fotografia e parole "La mia generazione" ammalia

Sipario ieri alla Mole, grande protagonista il fotografo Guido Harari che ha dialogato sul palco con i giornalisti Cavaliere e Colombati. Giovanardi coglie tutti di sorpresa improvvisando "Angela" di Tenco

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di Raimondo Montesi

Musica, fotografie e parole. Sono i tre elementi su cui si è retto il quinto ‘La mia Generazione Festival’ di Ancona, su cui è calato il sipario ieri alla Mole. Grande protagonista dell’edizione 2022, il fotografo Guido Harari, che ha piacevolmente dialogato con i giornalisti Giulia Cavaliere e Leonardo Colombati.

Sul palco anche Mauro Ermanno Giovanardi, direttore artistico del festival, che all’inizio, cogliendo tutti di sorpresa, ha improvvisato ‘Angela’ di Tenco, tanto per ribadire che ‘La mia Generazione’ è innanzitutto musica. L’incontro ‘Wall of Words in a Wall of Sound’ ha attratto decine di persone desiderose di sapere cosa c’è dietro gli scatti del "fotografo rock" numero uno in Italia.

Gli stessi scatti ammirati nella mostra ‘Remain in light’, la prima antologica di un uomo assai invidiato, perché nel suo obiettivo sono finiti gli artisti più amati e venerati degli ultimi cinquant’anni.

Lui non si è sottratto, cominciando a spiegare il senso della prima ‘stanza’ della mostra. Termine adeguato, perché si tratta di una sorta di riproduzione della sua ‘cameretta’ di adolescente.

"Era ricoperta di dischi, persino con le copertine attaccate alle pareti con lo scotch. Io ero un ragazzino nella Milano degli anni ‘60, e la musica la si poteva immaginare con le copertine e le riviste".

Harari racconta di un aver visto un giorno una foto che Annie Leibovitz fece a un John Lennon molto uomo e poco star.

"Se si può raccontare la musica così, mi dissi, questa è la mia strada. Decisi che volevo raccontare le persone, non i personaggi.

Volevo capire chi era l’altro, magari trovando una crepa nella sua ‘maschera’. In quella foto Lennon indossa una salopet di jeans, non sorride. E’ nudo. La chiave di tutto, per me, era la curiosità".

Altra parola chiave del Verbo harariano è ‘immaginazione’: "E’ il grande motore della vita".

Verrebbe da citare Fellini (‘Nulla si sa, tutto si immagina’), ma il fotografo sa anche volare basso, e scherzare, come quando lancia il tormentone delle "cozze con la senape" assaggiate in un noto ristorante del centro. Giovanardi svela che ‘quando su Rockstar vedevo ovunque la scritta "foto di Guido Harari" mi chiedevo come mai in Inghilterra usassero il nome Guido. "Un italiano non poteva fare foto così!". Harari grande professionista, ma anche fan di chi si trovava spesso davanti.

"L’altro è uno specchio di te. Ti ritrovi nelle sue parole, nei suoi pensieri.

La fotografia per me non è un mestiere, non è tutto. Ciò che importa è l’incontro. Cerco di stabilire un contatto.

Quando ci riesco c’è un’euforia, uno slancio verso l’altro... Come con Zappa, Kate Bush, Lou Reed, Dario Fo, Alda Merini’. ‘Guido Harari. Remain in Light - 50 anni di fotografie e incontri", resterà aperta fino al 9 ottobre.