’Ndrangheta Ancona, catturati i killer: uccisero il fratello del pentito

Vendetta della cosca nel giorno di Natale in pieno centro a Pesaro

I rilievi dei carabinieri sul luogo del delitto di Bruzzese a Pesaro

I rilievi dei carabinieri sul luogo del delitto di Bruzzese a Pesaro

Due gli obiettivi: uccidere e urlare che la cosca Crea è viva, vegeta e continuerà a tentare di imporsi. A ogni costo. Il delitto di Marcello Bruzzese, fratello di Girolamo Biagio, collaboratore di giustizia, ucciso a Pesaro - dove viveva in località protetta - sotto una gragnuola di colpi di pistola la notte di Natale del 2018, è attraversato da queste due direttrici. Tutte riconducibili al pericoloso clan di Rizziconi, piana di Gioia Tauro, Calabria.

I rilievi dei carabinieri sul luogo del delitto di Bruzzese a Pesaro
I rilievi dei carabinieri sul luogo del delitto di Bruzzese a Pesaro

'Ndrangheta, omicidio Bruzzese a Pesaro: 4 fermi tra Ancona e Reggio Calabria

Dopo tre anni e un lavoro enorme da parte dei carabinieri del Ros, con il supporto dei comandi provinciali di Ancona, Reggio Calabria, Catanzaro, Brescia, Napoli, Torino, Pesaro Vibo Valentia e del Gruppo intervento speciale, ieri sono stati eseguiti quattro provvedimenti cautelari per associazione di tipo mafioso, omicidio, porto e detenzione illegale di armi. "Tabacco selvatico" il nome dell’operazione che trae origine da una seconda costola dell’inchiesta nel Bresciano dopo il sequestro di 42 tonnellate di tabacco e il ritrovamento di armi clandestine e da guerra riconducibili ai clan della ’ndrangheta. Il gruppo di fuoco, tutti in carcere tra Brescia, Vibo Valentia e Reggio Calabria, è composto da due esecutori materiali. Ad aprire il fuoco quella notte a Pesaro sarebbero stati Michelangelo Tripodi, 43 anni e Francesco Candiloro, 42. Furono loro a svuotare la calibro 9 la sera di Natale del 2018, mentre Marcello Bruzzese stava parcheggiando l’auto nel garage della sua abitazione nel cento storico di Pesaro. Marcello ha pagato con la vita la parentela stretta con Biagio, ex affiliato alla cosca Crea di Rizziconi e dalla quale si era dissociato nel 2003 dopo aver tentato di uccidere il boss, Teodoro Crea. Credeva di averlo ucciso. Si sbagliava. L’ha menomato, ma non ucciso. Da quel giorno per lui e la sua famiglia è iniziata la caccia all’uomo. Ordita dai vertici di un clan che attualmente è stato decapitato anche e soprattutto dopo recenti, pesantissime condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Omicidio Pesaro, il procuratore. "Proteggere meglio i collaboratori di giustizia" - Omicidio Bruzzese. "La famiglia di Marcello era stata minacciata"

Il terzo arrestato è Rocco Versace, 54 anni: sarebbe stato lui a pianificare il delitto, studiando i movimenti di Marcello Bruzzese a Pesaro, organizzando una serie meticolosa di sopralluoghi anche un mese prima dell’omicidio. Oltre ai tre provvedimenti eseguiti su ordine della Dda di Ancona (due in Calabria e uno nel Bresciano) ve n’è un quarto per ordine della distrettuale di Reggio Calabria. Si tratta di Vincenzo Larosa, ritenuto la "cassaforte" delle armi del gruppo di fuoco. Che poteva disporre di un arsenale da guerra: bazooka, ordigni in grado di far saltare in aria auto blindate, mitra Ak47.

Il punto Omicidio Pesaro, il pentito fratello della vittima. "Non voglio andarmene"

A tal proposito è rilevante un’intercettazione telefonica nella quale gli affiliati pregustavano la fine del Bruzzese: "Ci vorrebbe un Ak 47 e a go-go sul grilletto, tempo ci vuole, ma soddisfazionia modo nostro, a uno alla volta, ce le prendiamo. Almeno se la ride". A svelare una delle conversazioni che sono state acquisite all’indagine è stato il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri. Gli indiziati facevano riferimento al fucile mitragliatore da guerra, assaporando la vendetta da perseguire anche a distanza di tempo, he avrebbe reso felice il vecchio boss Teodoro Crea.

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La vendetta, un piatto da consumare anche quindici anni dopo. Colpendo il pentito nei suoi affetti più cari, facendogli fuori il fratello. Gli indagati, secondo quanto ricostruito dal Ros, prima di entrare in azione, hanno compiuto minuziosi e ripetuti sopralluoghi per studiare le abitudini della vittima, adottando documenti falsi e una serie di accorgimenti per impedire la propria identificazione, hanno monitorato anche i fratelli di Marcello Bruzzese e, per ultimo, hanno tentato di contattare sul web, tramite falsi account, Girolamo Bruzzese. Secondo gli inquirenti, i fermati stavano pianificando più omicidi nell’interesse di Domenico Crea, anche come ritorsione per la sentenza emessa nel dicembre 2020 dalla Corte di appello di Reggio Calabria che ha condannato il boss Teodoro Crea, il figlio Giuseppe e Antonio Crea. In particolar modo "due dei fermati erano pronti a commettere altri episodi delittuosi con la disponibilità di armi da guerra inquietanti. Stavano pianificando un altro delitto di un altro testimone di giustizia che aveva reso testimonianze". Lo ha rivelato ieri mattina la procuratrice distrettuale antimafia delle Marche, Monica Garulli. Delitti da commettere anche all’estero. Tutti con un fine unico: colpire persone vicine alla famiglia Bruzzese. L’urgenza a intervenire con i fermi è stata necessaria, ha spiegato ancora la procuratrice, "per acquisire elementi investigativi arrivati anche da fuori Italia che evocavano uno scenario grave".