Omicidio Renata Rapposelli, incastrati da cimici, telecamere e alibi falsi

Il figlio e l’ex marito in carcere fanno scena muta davanti al gip

Renata Rapposelli e la Fiat dei Santoleri

Renata Rapposelli e la Fiat dei Santoleri

Ancona, 9 marzo 2018 - I presunti assassini di Renata Rapposelli fanno scena muta davanti al gip di Teramo Roberto Veneziano. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere Simone e Giuseppe Santoleri, arrestati martedì per l’omicidio della pittrice 64enne, scomparsa da Ancona il 9 ottobre e ritrovata cadavere il 10 novembre scorso a Tolentino, dopo che il giorno della scomparsa aveva fatto visita ai due indagati, ex marito e figlio della stessa vittima. Ieri nel carcere di Castrogno, a Teramo, era fissato l’interrogatorio di garanzia, cui hanno partecipato i legali della difesa. «I due non hanno parlato non perché non volessero difendersi – ha spiegato l’avvocato Angelozzi – ma perché traumatizzati da questo improvviso evolversi della vicenda. Giuseppe, tra l’altro, è stato ricoverato in clinica ed era già in cura all’Asur di Giulianova. Simone non aveva la forza d’animo per replicare a ogni passo della corposa misura cautelare». L’ordinanza di custodia in carcere dovrà però essere rinnovata dal tribunale di Teramo entro il 25 marzo, altrimenti i due indagati tornerebbero liberi.

Secondo la difesa, la misura cautelare si basa su suggestioni, tanto che i legali sono già al lavoro per preparare la richiesta di riesame. «L’impianto accusatorio – dice l’avvocato Alessandro Angelozzi – ha messo insieme elementi indiziari per far sì che costituiscano la chiave di lettura della vicenda». Oltre alle testimonianze che i legali non giudicano tanto affidabili quanto sostiene la procura, i legali si riferiscono anche alle frasi intercettate, «estrapolate da un contesto più ampio».

A spingere il gip di Ancona Carlo Cimini a emettere l’ordinanza, oltre alla «incessante» attività di inquinamento probatorio (da ultimo il tentativo di rottamare la Fiat 600 con cui il corpo di Renata sarebbe stato trasportato a Tolentino), è la pericolosità di Simone, che ha intimidito la compagna per spingerla a modificare le sue dichiarazioni ai carabinieri, ma che ha anche precedenti ritenuti gravi.

Il 44enne era stato denunciato per aver minacciato con la pistola la ex compagna (la querela fu poi ritirata), ma dall’ordinanza del gip emerge anche che circa 10 anni fa aveva tentato di incendiare il portone di casa dei vicini di allora, una famiglia rom con cui erano sorti dissapori. «Cedere l’auto che era nella sua disponibilità per acquistarne una nuova – è il commento di Ezio Denti, noto per essere stato consulente tra gli altri per il caso di Yara e oggi consulente dei Santoleri – non è un tentativo di inquinare le prove. Nell’ordinanza si legge che io stesso avrei detto a Simone del risultato degli esami dei Ris, che avrebbero trovato compatibilità tra il terriccio trovato sull’auto e quello prelevato sul luogo di rinvenimento del cadavere, ma non è assolutamente così: la relazione dei Ris non esiste ancora. Ho semplicemente detto che erano stati prelevati campioni dagli ammortizzatori».

Intanto avvocati e consulenti attendono di vedere le immagini estrapolate dalle telecamere che il 12 ottobre, tre giorni dopo la scomparsa della pittrice, hanno ripreso la Fiat Seicento dei Santoleri mentre viaggia prima sulla Statale Adriatica in direzione nord a Porto Sant’Elpidio, poi lungo la provinciale che porta a Tolentino Est, l’uscita che porta al greto sul fiume Chienti in cui è stato ritrovato il cadavere. L’auto è stata identificata perché, a Porto Sant’Elpidio, le telecamere della polizia locale hanno un’alta definizione, tanto da permettere di leggere la targa e notare, nel bagagliaio, la presenza di un grosso scatolone, secondo gli inquirenti una sorta di sarcofago che conteneva il corpo di Renata. Lungo la provinciale di Tolentino, invece, l’auto è stata riconosciuta dal tergilunotto posteriore rotto.