MARINA VERDENELLI
Cronaca

La ragazzina suicida non era incinta. Indagini tra familiari, insegnanti e amici: voleva vivere da italiana

Non voleva tornare nel suo paese e voleva bene a un ragazzo: temeva di non poter coronare i suoi sogni. A turbare la 15enne era un presunto matrimonio combinato nel suo paese, dal padre

Il palazzo di via Capodistria da cui la giovane bengalese si era gettata. E’ morta dopo alcuni giorni in ospedale

Il palazzo di via Capodistria da cui la giovane bengalese si era gettata. E’ morta dopo alcuni giorni in ospedale

Ancona, 20 novembre 2023 – Non era incinta Mithila Zakir e la visita ginecologica fissata il giorno dopo del tragico gesto era stata già programmata da tempo ed era per un controllo di routine. A turbare la 15enne, che il 30 ottobre scorso è precipitata dal terzo piano dell’abitazione di via Capodistria, dove viveva, compiendo un gesto volontario (le indagini lo confermerebbero), era un presunto matrimonio combinato nel suo paese, dal padre.

Mithila ormai viveva all’occidentale e amava anche un ragazzino di qua, italiano. Lo aveva confidato alle amiche. Che non aveva una gravidanza emerge dai primi accertamenti fatti fare dalla Procura. Le indagini sono proseguite e stanno proseguendo sentendo tutte le persone che gravitavano attorno a lei. In primis i familiari, genitori compresi, poi gli amici e le amiche, i compagni di scuola, l’Ipc Podesti che frequentava da un anno, i professori e le assistenti sociali.

Proprio la schiera di amici ha evidenziato un quadro di una 15enne che voleva vivere come una ragazza italiana e respingeva i dogmi musulmani che il padre le avrebbe voluto imporre.

Non voleva mettere il velo, si sarebbe ribellata alle imposizioni di un padre da lei considerato "rigido". Un padre che le avrebbe combinato un matrimonio in Bangladesh, proprio ora che si era innamorata di un coetaneo.

Mithila aveva paura di tornare nel suo paese perché temeva che non sarebbe più tornata in Italia. Del viaggio se ne parlava in casa e prima o poi avrebbe dovuto farlo. Da qui a stabilire responsabilità del padre, indagato per istigazione al suicidio, la strada è ancora lunga. Una risposta importante gli inquirenti la attendono dal cellulare della minore, morta dopo tre giorni di agonia in ospedale, per i gravi traumi riportati dalla caduta dal balcone, affidato al consulente informatico Luca Russo il 9 novembre scorso.

Anche la difesa del padre della bengalese ha nominato un consulente proprio. Sul cellulare è stata disposta una perizia tecnica: si estrapoleranno chat, messaggi, anche tramite social, per cercare se almeno con il telefonino la minore abbia manifestato timori al punto di annunciare di farla finita se costretta a fare una cosa contro la sua volontà.

Il perito della Procura si è preso trenta giorni di tempo. L’iscrizione del genitore di Mithila sul registro degli indagati è stato un atto a sua garanzia per accuse ancora tutte da dimostrare.

La magistratura sospetta che l’atto estremo compiuto dalla minorenne possa essere legato a disaccordi in famiglia, proprio con il papà, che avrebbe voluto riportarla per un periodo in Bangladesh. L’uomo però ha smentito questo, parlando di una figlia libera e che non c’era nessun matrimonio.

Anche il fratello della giovane nega costrizioni e parla di un buon rapporto della sorella con il papà. La famiglia non sarebbe stata così integralista. Mithila si era iscritta a scuola, sognava di lavorare nel campo della moda.

La 15enne aveva un curatore speciale perché c’era una posizione aperta al tribunale dei Minori proprio per delle confidenze fatte da Mithila a scuola, alle insegnanti, su un viaggio nel suo paese per nozze combinate. Era stato fatto un divieto di espatrio per questo e analizzata la posizione familiare. La cosa sembrava essere rientrata tanto che la 15enne andava regolarmente a scuola.