Ancona, giallo di Renata Rapposelli. I mille perché del suo delitto

Dalla pista del movente economico, alla fragilità dell’alibi degli indagati fino ad arrivare all’apporto della tecnologia

Renata Rapposelli

Renata Rapposelli

Ancona, 2 febbraio 2018 - La domanda che da settimane si fanno tutti quelli che hanno seguito il caso di Renata Rapposelli, la pittrice prima scomparsa da Ancona il 9 ottobre 2017 e poi ritrovata morta sul greto del fiume Chienti, nel Maceratese, è una soltanto: come mai, dopo tutto questo tempo, non c’è stata la tanto attesa svolta giudiziaria? Perchè non è stato arrestato nessuno? Interrogativi banali? Illogici? Tutt’altro. Una logica c’è. E sta tutta dietro alla montagna di indizi che portano dritti a un’unica pista. E’ quella che conduce all’abitazione di Giulianova di Giuseppe e Simone Santoleri, rispettivamente marito e figlio di Renata. I due sono indagati da tempo dalla Procura di Ancona per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Nonostante siano trascorsi quattro mesi, la tanto attesa scintilla che porti ad accendere la miccia non c’è. Perchè?

Il caso di Renata è spinoso, molto. Intricato quanto basta per soddisfare i palati di un giallista e inondare di parole e immagini le più popolari trasmissioni televisive di cronaca nera (Chi l’ha Visto? e Quarto Grado) che giustamente credono molto, in termini di share, al caso di Renata. Perchè tutti in fondo pensano che l’assassino sia lì, a portata di mano. Ma poi la realtà è un’altra. Per arrivare a una conclusione certa bisogna incastrare alla perfezione una montagna di elementi. Non è una cosa da poco, anzi.

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Il lavoro degli investigatori del reparto operativo di Ancona, dei colleghi di Macerata e della scientifica del Ris di Roma, non si è interrotto un istante. Renata è stata uccisa, di questo gli inquirenti sono assolutamente convinti. Ma come, dove, quando e perchè sono domande che attendono ancora molte risposte. Per arrivare a delle conclusioni, bisogna quindi ripercorrere dall’inizio tutte le strade che possono portare al principio. A quel 9 ottobre, quando Renata parte da Ancona e arriva a Giulianova in tarda mattinata. Viene accolta in casa dai Rapposelli. E da lì il buio. Una farmacista di Tortoreto è sicura di averla vista in pieno pomeriggio. E qui s’incrina per la prima volta il racconto reso in sede di interrogatorio da Simone e Giuseppe Santoleri. Ovvero quello secondo cui Pino Santoleri quel giorno si era messo al volante della sua Fiat 600, lui che era debilitato e con un braccio fuori uso e, dopo aver percorso la statale Adriatica era arrivato fino alle porte di Loreto. Qui lui e Renata avevano litigato e lui l’aveva abbandonata in aperta campagna. Poi il nulla. Più o meno all’ora in cui la farmacista dice di aver visto Renata. Si è sbagliata lei o mente Santoleri?

Una telecamera avrebbe ripreso la 600 bianca tra le province di Teramo e Ascoli, quindi in direzione nord, tra le 17 e le 19 del 9 ottobre. Il filmato è stato acquisito dagli inquirenti. Orari non coincidenti con il racconto di Santoleri secondo cui sarebbero partiti da Giulianova per andare a Loreto alle 13.45. Ma le telecamere che inguaiano di più i due indagati sono quelle entrate in azione il 12 ottobre, tre giorni dopo la scomparsa di Renata. Una lungo la statale a Porto Sant’Elpidio riprende la 600 dei Santoleri (si legge la targa) in direzione Ancona. Una mezzoretta dopo, una seconda telecamera filma il passaggio della 600 da in distributore lungo la SS77 Valdichienti. Esattamente la stessa strada che si deve percorrere per raggiungere Tolentino, ovvero il luogo in cui è stato trovato il corpo di Renata. Questo tre giorni dopo la scomparsa. E ancora nessuno sapeva che la pittrice aveva fatto perdere le tracce. La storia è emersa grazie alla denuncia di scomparsa sporta da un amico di Renata alla stazione carabinieri di Cingoli una settimana dopo il 9 ottobre. Quel viaggio verso Tolentino quindi è molto sospetto. Un altro tassello che va ad aggiungersi agli altri indizi (FOTO).

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Quindi: viaggio da Giulianova a Loreto molto dubbio e acqua da parecchie parti. Che cosa si attende? L’esame della scientifica sul terriccio, ovvero la comparazione di quello trovato sotto la 600 e quello del greto del Chienti dove è stato rinvenuto quasi decomposto il corpo di Renata. Potrebbe voler dire che la 600 lì c’è stata. La localizzazione potrebbe arrivare anche dall’analisi del’account Google che l’analista forense Luca Russo sta cercando di tirar fuori dal pc di Renata. Account uguale localizzazione del suo telefono. E quindi percorso e viaggio. Passaggi fondamentali: demolizione del racconto degli indagati, raccolta di indizi che portino a pensare che c’erano tutte le motivazioni per uccidere Renata e che loro fossero insieme a lei nel momento della morte.

E il movente? La trasmissione «Chi l’ha Visto?» mercoledì sera ha aggiunto un altro tassello alla pista privilegiata dai carabinieri. Ovvero quella per cui Renata sarebbe stata uccisa per motivi economici. Proprio il 15 ottobre Renata e il suo avvocato aspettavano una risposta dai Santoleri sulla rateizzazione del precetto del giudice che intimava a Giuseppe di corrispondere duecento euro al mese a Renata. La pittrice era in stato di indigenza. Le spettava per legge un quinto della pensione del marito. Ma Renata non ha mai visto un centesimo. Simone e Giuseppe sarebbero stati a conoscenza della corrispondenza tra il loro avvocato e quello di Renata. E forse è giustificato da questo l’incontro del 9 ottobre, quando potrebbero essersi visti a Giulianova per chiarire definitivamente le cose. E invece l’unica cosa certa è stata la fine dell’esistenza di Renata Rapposelli.