Scandalo delle casette dopo il terremoto, la Procura presenta il conto: "Processateli"

Chiesto il rinvio a giudizio per 19 persone e 15 aziende: tra funzionari pubblici e imprenditori c’è anche il capo della Protezione civile

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di Marina Verdenelli

Farle lavorare sarebbe stato un azzardo perché non solo le ditte erano sprovviste quasi tutte del certificato antimafia ma difettavano anche delle specializzazioni giuste per costruire casette su terreni accidentali. L’inchiesta sul terremoto è a un passo dal processo. Dopo la chiusura delle indagini avvenuta più di un anno fa (era febbraio 2020) la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 19 persone e 15 aziende coinvolte nello scandalo delle Sae, le soluzioni abitative d’emergenza date agli sfollati del sisma 2016 (stralciata una posizione, quella di un contitolare di un azienda di infissi). Fissata l’udienza preliminare per il prossimo 27 settembre.

A rischiare sono funzionari pubblici e imprenditori, accusati di concorso in abuso di ufficio, truffa, falso ideologico commesso in atto pubblico e frode nelle pubbliche forniture. A rischiare il processo c’è anche il capo della protezione civile delle Marche David Piccinini, 54 anni, anconetano, che firmava il via libera alle fatture delle ditte per procedere poi ai pagamenti; Lucia Taffetani, 55 anni, maceratese, direttrice dell’esecuzione per la fornitura e posa in opera delle Sae e Stefano Stefoni, 60 anni, di Civitanova, responsabile unico del procedimento. Un trio prescelto dalla Regione per affrontare il dramma del terremoto che piegò le Marche. Tra gli altri nomi spicca anche quello di Giorgio Gervasi, 65 anni, palermitano, presidente del Consorzio Arcale, incaricato a realizzare i moduli abitativi per i terremotati. Il consorzio era fatto da una rete di imprese in cui rientrano aziende emiliane, toscane e umbre. Stando alle accuse ci sarebbero stati appalti e subappalti affidati a ditte impegnate nella ricostruzione senza però verificarne i requisiti come la certificazione antimafia ma non solo anche quelle per la previdenza (il Durc), quella per concorrere negli appalti pubblici (il Soa) e quella per le opere strutturali speciali. Un controllo che sarebbe spettato proprio ai funzionari regionali. Ma in quel periodo c’era da fare in fretta, le famiglie aspettavano e le casette tardavano ad essere consegnate. Le ditte avrebbero lavorato di fantasia con le autocertificazioni dichiarando di avere i requisiti richiesti per lavorare con lo Stato. I lavori sarebbero stati portati avanti oltre i tempi stabiliti e viene contesta anche una variante (per le casette di Visso), approvata con dubbie motivazioni, che evitò ad una ditta pesarese di pagare le penali previste.

L’inchiesta, portata avanti dalla Procura distrettuale con il pm Irene Bilotta, era partita nel 2017 con un controllo della guardia di finanza per l’area del cratere. Oltre ai nomi di spicco rischiano di finire a giudizio anche i titolari e i legali rappresentanti delle ditte a cui sono stati affidati i lavori e provenienti da diverse parti d’Italia. Tre aziende sono delle Marche: la Italian Window Distribution & Trading srl della provincia di Pesaro e Urbino, la Costruzioni Giuseppe Montagna Srl con sede a Pesaro e la Global Window Services & Logistics srl sempre in provincia di Pesaro e Urbino. Le contestazioni della Procura riguardano la posa dei pavimenti nelle casette, gli infissi interni, portoncini blindati, gli impianti tecnologici e la impermeabilizzazioni del basamento del modulo abitativo. E ancora le opere di urbanizzazione delle casette a Visso, un appalto per quasi 2milioni di euro.