"Shakespeare in napoletano, ecco i sonetti traditi e tradotti"

Lino Musella domani protagonista nella corte della Mole per il festival di poesia "La Punta della Lingua".

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Chi ha saputo unire teatro e poesia nel modo più straordinario e originale di sempre? William Shakespeare, naturalmente. Non sorprende quindi che un festival di poesia totale, ‘La Punta della Lingua’, ospiti uno spettacolo teatrale nato dagli immortali ‘Sonetti’ del Bardo, per di più tradotti in napoletano! Domani sera (ore 21, biglietto 10 euro; info e prenotazioni all’Amat, 071 2072439; prevendite alla Casa Musicale Ancona, 071 202588, e nelle biglietterie del circuito Amat) nella corte della Mole Vanvitelliana va in scena ‘L’ammore nun’ è ammore’, 30 sonetti di Shakespeare ‘traditi e tradotti’ da Dario Jacobelli, e interpretati da Lino Musella, attore ‘magnetico ed energico’ (Premio Ubu per ‘The night writer. Giornale notturno’ di Jan Fabre) che firma anche la regia.

Musella, il ‘tradimento’ di cui parlava Jacobelli è solo questione di lingua o la forza del napoletano, che come noto è lingua e non dialetto, è tale da ‘imporsi’ perfino su un capolavoro come i ‘Sonetti’?

"Lui amava dire così: versi tradotti e traditi. Si dice che ogni traduzione è un tradimento. Ogni autore ci mette del suo. Ma a parte un paio di licenze il lavoro di Jacobelli è piuttosto fedele. Il napoletano propone qualcosa di non così neutro come l’italiano. Jacobelli ha tradotto dall’inglese direttamente in napoletano, restituendo teatralità a un’opera non pensata per le scene. Il risultato è straordinario".

Come conferma l’immediato successo di pubblico dello spettacolo. E’ più merito di Shakespeare, del napoletano o suo, un ancora fresco Premio Ubu?

"E’ dovuto a una serie di congiunzioni particolari. Lo spettacolo non ha una storia, anche se l’autore è il più grande narratore di storie. C’è però la storia della sua genesi, che sul palco non viene rivelata. Io e Dario eravamo molto legati, molto amici. Insieme abbiamo portato l’unico materiale non drammaturgico di Shakespeare a teatro. In realtà per me Shakespeare con i Sonetti ha scritto il teatro per il 3000. Oggi noi non sentiamo forse come la drammaturgia vada verso la frammentarietà, l’ermetismo? Questi versi sono adatti al futuro, a una visione diversa della messa in scena".

Per adesso sembra essere il Covid-19 a imporre una certa visione della messa in scena. In futuro avremo solo monologhi, per evitare ‘assembramenti’ sul palco?

"Può andare bene per correre ai ripari e continuare a portare la gente a teatro, per tenere accesa la fiamma. Ma questo non può essere il futuro. Ben vengano monologhi e assoli, ma unicamente per questa fase di emergenza".

Intanto ad Ancona c’è un festival di poesia che, nonostante il periodo, cresce in quantità e qualità.

"E’ un buon segno. La poesia ci incoraggia, ci dà senso. Perché sì, ricordiamolo: noi ci nutriamo anche di senso".

Raimondo Montesi