"Si è riaperta una ferita dolorosa Riviviamo la tragedia di Michele"

Marco Scarponi, fratello del campione di Filottrano, morto nello stesso modo

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Marco Scarponi, fratello dell’Aquila di Filottrano, è presidente dell’associazione che porta il nome di Michele, nata dopo la morte del ciclista nel 2017 sulle strade del suo paese, proprio mentre si allenava in bici come Rebellin. Da allora il suo impegno è quello di promuovere più sicurezza sulle strade.

Che cosa ha provato alla notizia della morte di Davide Rebellin?

"E’una cosa devastante, riapre nella mia famiglia una ferita dolorosa. Stiamo rivivendo gli stessi momenti, le stesse situazioni provate con Michele e ci si accorge che poco è stato fatto in questi cinque lunghi anni. Penso ai miei figli e a quelli di mio fratello e penso che non riusciremo a donare loro una strada sicura".

Che cosa fare?

"Sulle strade italiane sei un bersaglio, un disturbo. Non abbiamo istituzioni capaci di mettere al centro la persona, di pensare a una mobilità per tutti. Anche noi con la Fondazione Scarponi portiamo avanti progetti ma il messaggio fatica ad arrivare".

Quali progetti?

"‘La strada è di tutti’ è il nostro motto e il nome dell’iniziativa di educazione e formazione che svolgiamo per le scuole. Abbiamo già fatto due tappe coinvolgendo 30 educatori ed è pronta la terza nelle scuole medie e nei licei per portare la visione di strada di Michele, a misura d’uomo, per pedoni, ciclisti, disabili e non solo. Stiamo poi inaugurando l’impegno di garantire assistenza legale (ci costituiremo parte civile nei processi) e psicologica per le famiglie delle vittime".

Cos’altro avete in serbo?

"Penso continuamente a cosa si può fare. Piste ciclabili se ne stanno costruendo ma, al di là che non sono costruite benissimo, spesso non si trovano in città o nei centri abitati e poi non possono essere fatte ovunque. All’estero ci sono esempi di ’città 30’ che potrebbero essere ripresi anche in Italia. Un limite di velocità come processo educativo per una strada più democratica. Si può pensare anche ad altro ma il punto da cui partire sono i controlli: l’Italia in questo è assente mentre l’obiettivo dovrebbe essere quello di rendere lo spazio più democratico invece nel nostro Paese la strada è della macchina e il pensiero che una persona possa uscire in bicicletta con il rischio di non fare più ritorno a casa è inquietante. È sintomo di un Paese incivile. Quello di Davide non è destino, è un omicidio. In molti campi siamo presi da esterofilia. Bene, facciamolo anche per provare a risolvere questi problemi: prendiamo spunto da altri Paesi come la Spagna. E’ più sicuro pedalare in quelle località. La democrazia sulla strada è un diritto".

Silvia Santini