"Siamo discriminati, vogliono spaccare il Paese"

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"A che cosa serve il Green pass, se abbiamo comunque lavorato anche nella prima fase della pandemia, senza l’obbligo di vaccinazione né di tampone?". Si pone questa domanda Giuseppe, lavoratore al porto di Ancona, che ieri mattina ha deciso di rinunciare a una giornata di paga per manifestare contro l’obbligo del certificato verde per lavorare. Il vaccino, per le persone che ieri hanno bloccato le strade del capoluogo, deve restare una scelta libera, mentre il Green pass, è scritto su un manifesto che promette "sciopero a oltranza", è un "passaporto di schiavitù". Il tampone pesa sulle tasche dei lavoratori mentre "il vaccino non è sicuro: miocarditi, trombosi e altri effetti collaterali sono all’ordine del giorno, basta leggere e informarsi per capirlo", dice un altro manifestante.

Nel frattempo, si ripetono a gran voce gli appelli all’unità, anche se qualcuno è deluso dalla mancata partecipazione di un più grande numero di colleghi e cittadini. Appare anche un manifesto: "Trieste chiama, Ancona risponde". "Dobbiamo farci sentire e dobbiamo restare uniti con gli altri lavoratori come noi in tutta Italia", fa eco un altro manifestante. "Bloccare il traffico delle merci e il lavoro nei cantieri è l’unico modo che abbiamo per cambiare qualcosa – spiega Luca, operaio di Fincantieri – solo fermando l’economia di questo Paese potremo ottenere qualche risultato".

L’obiettivo è chiaro, per i manifestanti, dire di no ad una misura discriminatoria, da paragonare alle peggiori dittature della storia recente: su un cartellone che sfila dal porto a via Marconi il "Green pass" è affiancato ai nomi di Hitler e Stalin. "Stiamo diventando come gli ebrei al tempo del terzo Reich – dice Stefania, imprenditrice – non mi fanno entrare nella scuola dei miei figli e, stamattina, senza il Green pass, non mi hanno fatto entrare neppure all’ospedale. È una discriminazione bella e buona".