Strage di Corinaldo, arrestato il figlio del boss "Ugo Di Puorto era in cerca di una pistola"

Armi e violenze, l’indagato per i morti della Lanterna Azzurra voleva farla pagare a qualcuno: incastrato dalle intercettazioni

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di Marina Verdenelli

Erano passati solo cinque mesi dai morti della Lanterna Azzurra e lui, invece di mostrarsi toccato per quelle perdite, pensava a come procurarsi un’arma per farla pagare ad un giovane delle sue parti con cui aveva avuto un banale litigio per strada e che aveva già malmenato procurandogli anche delle lesioni. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Ancona lo stavano già intercettando, dopo una serie di elementi che avevano portato l’Arma a sospettare dei sei giovani della Bassa Modenese dietro la banda dello spray responsabile della strage di Corinaldo, quando a maggio 2019 Ugo Di Puorto chiama a raccolta altri tre per trovargli e fargli avere una pistola. Il suo arresto per i morti di Corinaldo era ancora lontano perché le manette scattarono solo ad agosto 2019. La richiesta di avere una pistola emergerebbe da una intercettazione ambientale in cui a parlare è proprio Di Puorto. "Devo trovare una pistola, devo regolare i conti", avrebbe detto mentre parlava in auto. Ce l’aveva con un giovane che aveva picchiato fuori dalla chiesa, durante il funerale di un altro membro della banda morto in un incidente stradale. Il motivo del litigio sarebbe stato aver appoggiato una lattina sull’auto del defunto. Non ci sarebbero state quindi solo bombolette al peperoncino e furti di collanine in discoteca dietro il trascorso di quello che gli inquirenti hanno ritenuto essere il maggiore responsabile dei morti a Corinaldo, le vittime della notte dell’8 dicembre 2018, quando in discoteca persero la vita cinque minorenni e una mamma di 39 anni. Nel passato di Di Puorto spuntano altri elementi che non fanno che aggravare la sua posizione e parentela con il boss del clan dei Casalesi per la provincia di Modena, Sigismondo Di Puorto, suo padre (oggi detenuto in regime di alta sorveglianza). Con il padre ristretto il sospetto degli investigatori è che il figlio doveva portare avanti gli affari del clan. Proprio la disponibilità di armi, trovate in casa di un operaio 50enne, originario della Campania ma residente sempre nel modenese, e droga, hanno portato ad una nuova misura cautelare in carcere per Ugo Di Puorto ed per altre tre persone (due in carcere e una ai domiciliari), tra queste c’è anche il padre del suo amico Raffaele Mormone (altro membro della banda dello spray), Giovanni Mormone. Le quattro misure cautelari, emesse dal gip del tribunale di Bologna, su richiesta della Procura (la direzione distrettuale antimafia di Bologna), sono state eseguite ieri mattina all’alba dai carabinieri dei nuclei investigativi dei comandi provinciali di Ancona e Modena. Non riguardano i fatti in sé di Corinaldo ma un fascicolo aperto da una costola dell’indagine della strage dopo l’intercettazione ambientale. A Di Puorto, Mormone padre e altri due indagati (Vincenzo Spinelli, uno dei soggetti che avrebbe custodito e messo a disposizione le armi per il presunto clan, e Nicola Cantiello, suo aiutante, l’unico ai domiciliari), sono contestati a vario titolo, in concorso tra loro, i reati di lesioni personali, detenzione abusiva di armi e munizioni, ricettazione, detenzione di droga e violenza privata, con l’aggravante del metodo mafioso. Le indagini si erano aperte già a marzo, quando sempre i carabinieri avevano effettuato diverse perquisizioni in provincia di Modena, trovando due pistole risultate rubate nel 2015 e nel 2017 in due abitazioni diverse (una a Ferrara e l’altra a Bologna), più di 200 munizioni e 230 grammi di cocaina a casa di un 50enne, operaio, originario della Campania, subito arrestato. Successivi accertamenti avevano portato i militari a capire come le armi erano solo custodite dal 50enne, un insospettabile, ma di fatto gestite da Di Puorto e gli altri tre oggetto delle misure cautelari di ieri. La banda dello spray, tutta condannata in abbreviato il 30 luglio dello scorso anno, sta aspettando che venga fissata l’udienza per il processo di appello.