"Terrore, sembrava Beirut"

Le voci dei testimoni nella notte: "Sei esplosioni e poi solo fuoco"

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"È andato tutto distrutto, c’è la possibilità che domattina (stamattina, ndr) si torni al lavoro?". Lo sguardo di uno dei dipendenti della Frittelli Maritime che lavorava nello stabilimento dentro l’ex Tubimar è perso nel vuoto e promette lacrime. Vigili del fuoco e forze di polizia tengono tutti lontano, le fiamme non promettono nulla di buono e il suo terrore è quello di ritrovarsi senza un’occupazione: "Fammi sapere cosa vedi, del capannone, dei mezzi meccanici parcheggiati lì fuori. Sono ancora lì?" domanda quasi implorando l’uomo.

Le luci del giorno hanno azzerato qualsiasi speranza del lavoratore, l’ex area Tubimar non esiste praticamente più, due terzi dell’area è stata incenerita. Il rogo, devastante e improvviso, ha richiesto forze importanti per essere domato. Polizia, carabinieri, finanza e vigili urbani hanno fatto di tutto per limitare i pericoli alle persone, in particolare i tanti curiosi accorsi in via Einaudi, nell’area portuale della Zipa. Un argine rotto in più punti. Tra i presenti ai margini dello spazio in fiamme tantissimi camionisti greci. I due traghetti per Igoumenitsa e Patrasso, ormeggiati alle banchine 15 e 17, non sarebbero ripartite prima di ieri mattina: "Stavo ancora guidando quando ho sentito cinque, sei esplosioni una dopo l’altra, come fossero spari. Mi sono fermato di colpo e davanti a me il fuoco. Enorme, violento. Sembrava Beirut, ho creduto di morire, di saltare in aria". Manos è uno dei tanti autisti di camion greci, testimone oculare del drammatico incendio scoppiato al porto l’altra notte. Il suo racconto è indiretta e il senso di angoscia è evidente mentre il fumo ancora nero e acre rende irrespirabile l’aria fino al centro della città. "Sarà stata mezzanotte, ma fino all’una il fuoco ha continuato a crescere minaccioso – aggiunge il camionista ellenico – ho avuto paura ma non potevo andarmene, lasciare lì il mio camion. Così ho aspettato e pregato".

Il timore principale era quello che le fiamme potessero coinvolgere la centrale termoelettrica, l’impianto di metano e tutte le aziende che si trovano attorno all’ex tubificio Maraldi. Tra queste anche la ditta Skalo che si occupa di pesce surgelato: "Stavamo lavorando all’interno dello stabilimento quando abbiamo sentito due botti enormi – raccontano due dei dipendenti della Skalo che ieri notte si trovavano in azienda appena scappati dalla sede minacciata dalle unghiate del fuoco – Uno dei colleghi si è affacciato fuori e ha visto la colonna di fumo denso e le fiamme. Per qualche minuto siamo stati al nostro posto, poi il rogo avanzava ed è arrivato vicino ai margini della nostra fabbrica e abbiamo lasciato l’edificio in fretta".

Addosso i camici e le protezioni da lavoro la manciata di lavoratori, in larga parte stranieri, maghrebini soprattutto, escono su via Einaudi e guardano rapiti le fiamme alte a pochi metri: "Venite via, fuori di lì – urla uno dei responsabili – Recuperate i mezzi all’ingresso e metteteli in salvo". La chiusura delle strade per consentire i soccorsi ed evitare problemi all’incolumità delle persone ha causato qualche disagio: "Debbo andare al mercato ittico per l’asta del pesce – afferma sconsolato uno dei compratori verso le 2,30 arrivato da nord e bloccato in via Mattei – le barche sono rientrate e tra poco le cassette saranno sul nastro trasportatore per la vendita. Dovrò fare il giro per arrivare".

Pierfrancesco Curzi