"Trovato morto sulla nave, vogliamo la verità"

L’appello della famiglia del giovane afghano partito da Patrasso per Ancona dove però è arrivato senza vita: "Hanno dato la colpa al caldo"

Migration

di Pierfrancesco Curzi

Javed Safi era originario dell’Afghanistan, regione di Kapisa a nord-est di Kabul, aveva 25 anni ed è stato trovato morto a bordo di un traghetto partito dal porto greco di Patrasso nel settembre del 2020. Quando il personale della nave lo ha trovato era troppo tardi, disteso di fianco a un tir, privo di vita. Era il pomeriggio del 6 settembre di un anno fa. La polizia di frontiera di Ancona ha svolto le indagini e la procura del capoluogo ha archiviato il caso in meno di cinque giorni: morto per asfissia a causa del caldo dentro la stiva del traghetto. Un vero e proprio record investigativo, corredato dalla dichiarazione dell’autista del camion che al termine aggiungeva un dettaglio: "All’interno del garage la temperatura era altissima".

Il cognato del giovane afghano non si dà pace da allora e chiede giustizia: "Javed Safi non è morto a causa del caldo – attacca Safi Mahel, marito della sorella del defunto, residente ad Ancona e da tempo operaio alla Fincantieri – dentro quella nave è successo qualcosa di brutto, ma gli inquirenti hanno voluto chiudere subito tutto. La polizia il giorno della morte mi ha chiamato perché Safi aveva dialogato con me via Whatsapp fino al giorno della partenza dalla Grecia. Quando ho visto il corpo aveva dei segni sul collo. Io ho seguito tutte le procedure e fatto sì che la salma rientrasse in Afghanistan. Oltre a me i genitori, la moglie e i figli di Safi vogliono sapere cos’è davvero successo".

Purtroppo non sarà assolutamente facile riaprire un caso che gli inquirenti anconetani hanno subito archiviato: "Non è stata autorizzata neppure un’autopsia, soltanto due righe di testimonianza del camionista e del personale della nave. Una firma, fascicolo archiviato, come se fosse tutto normale". A parlare è l’avvocato Francesco Rubini, consigliere comunale, che sta comunque cercando di dare una mano ai familiari del giovane migrante: "Il corpo della vittima era disteso fuori dal camion, nessuno se n’è accorto, nessuno ha dato l’allarme, possibile che sia morto dal caldo? Nessuno ha voluto approfondire – aggiunge Rubini – in fondo il valore della vita di migranti come Safi Javed è pari a zero per molti. Non immagino cosa accadrebbe se al posto di un afghano ci fosse stato un ragazzo italiano. Una storia triste che chissà quante volte si è ripetuta nel disinteresse totale".

Il 25enne lascia una moglie e due figli piccoli oltre ai genitori, costretti in povertà: "Javed Safi era partito per arrivare qui ad Ancona, lavorare e mandare dei soldi a casa, come faccio io – aggiunge il cognato – La situazione a Kapisa era difficile prima, adesso con il ritorno dei Talebani è una catastrofe. Ho pagato io la somma per rimpatriare la salma e adesso aiuto anche la famiglia di Safi, appena posso mandando dei soldi perché non hanno altro".