"Un secolo con Francesco Merloni: l’eredità del politico imprenditore"

Intervista a Giorgio Mangani che ha firmato questa biografia capace di raccontare anche una parte di storia italiana

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di Raimondo Montesi

Giorgio Mangani, come nasce l’idea di questo libro?

"Era da diverso tempo che analizzavo l’argomento. Da parte sua Merloni aveva interesse a lasciare un ‘messaggio’, un’eredità. Da qui sono iniziate delle conversazioni in cui lui si è dimostrato molto disponibile, sempre più galvanizzato da questa idea. Il libro è diviso in tre pari: la vita politica, la Fondazione ‘Aristide Merloni’, che lui presiede dal 1970, anno della morte del padre, e l’azienda, soprattutto nel periodo in cui è stato presidente".

Un’opera a metà tra biografia e saggio di economia?

"Io non sono un economista, anche se nel libro c’è una mia ricerca documentaria basata su materiale fornito dalla Fondazione e dall’impresa. Anni fa ho insegnato allo Iulm di Milano, trattando anche il modello economico marchigiano, ma più in chiave antropologico-culturale. Il taglio del libro è antropologico-economico. Basti pensare allo sviluppo delle Marche, al passaggio dall’agricoltura all’industria".

Inutile dire che si parla anche di Aristide Merloni.

"A lui è dedicato un capitolo. Abitualmente lo si considera un imprenditore che si è dedicato alla politica. In realtà è un politico che si è dedicato all’impresa. Il figlio Francesco porta avanti la sua ‘filosofia’, basata sulla dottrina sociale della Chiesa, adattando il modello del padre ai tempi che cambiano. Nel capitolo sulla Fondazione Merloni si parla del modello economico marchigiano, del lavoro con Giorgio Fuà, con l’Istao".

E il Francesco Merloni politico? Una carriera non di poco conto.

"E’ stato senatore e deputato dal 1976 al 2001, prima nella Dc, poi nell’Ulivo. Racconto le amicizie con Romano Prodi e Giuseppe De Rita, che intervengono nel libro, con Ciampi e Andreatta, ma anche con Epifani. Merloni ha tenuto molto a raccontare le grandi battaglie degli anni ‘70 e ‘80, riguardanti le partecipazioni statali, gli sprechi, le aziende che non rendicontavano niente, che non facevano neanche vedere i bilanci. Una volta, dovendo votare l’aumento di capitale dell’EGAM, senza poter vederne il bilancio disse: è assurdo. Per correttezza andò da Andreotti e gli disse: io voto contro. E Andreotti: ma chi te lo fa fare?’".

Non proprio il classico politico italiano.

"Infatti era considerato un tecnocrate. Questa è la parte più originale del libro. Merloni, ingegnere, inventa con Andreatta la politica fondata sullo studio, la documentazione, l’analisi economica. Allora questo sembrava strano. Riguardo a enti come EGAM o EFIM, che contavano centinaia di aziende, Merloni pensava che bisognava tenere in piedi solo le aziende che meritavano di essere tenute in piedi, non quelle decotte".

Un economista in anticipo sui tempi?

"Merloni pensava a un altro modo di gestire la cassa integrazione. Negli anni ‘70 propose di trovare una formula per ricollocare gli operai, facendoli studiare. Si occupò anche di risparmio energetico e sostenibilità ambientale. Negli anni della crisi petrolifera sperimentò pompe di calore a basso consumo. Alla metà del decennio risalgono i primi tentativi di internazionalizzazione. L’obiettivo era creare aziende fuori dall’Italia per aggredire i mercati esteri. In Belgio gli dissero: ’noi siamo abituati agli operai italiani, non agli imprenditori che vengono a investire da noi’".

Se dovesse sintetizzare la figura di Francesco Merloni così come emerge dal suo libro cosa direbbe?

"Merloni non è stato solo un imprenditore che ha fatto politica, ma un uomo che ha sempre avuto uno sguardo ‘sociale’ sulla realtà. Come economista ha sempre puntato sulla flessibilità, sull’adattarsi ai tempi e ai contesti. E, come dicevo, ha inventato la politica ‘informata’".