Un struttura gerarchica per intimorire

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Francesco

Messina*

Penso che le novità legislative della "riforma della Giustizia" comportino il rischio di un appiattimento intellettuale del magistrato, rendendolo più propenso nella professione a seguire solo a ciò che possa gratificare la sua carriera.

Va ricordato che la storia della Magistratura, a partire dagli anni ’70, è stata anche quella della scelta d’interpretare la realtà, di incidere su essa secondo i diritti fondamentali della Costituzione. Quella visione prospettica ha costituito un sentimento e un metodo di lavoro a cui si sono ispirati generazioni di magistrati, rendendo possibili conquiste civili importanti per tutti.

La salute come diritto dell’individuo, l’ambiente, il mondo del lavoro, le potenzialità della personalità umana nella vita collettiva hanno trovato quasi sempre nell’azione della magistratura la prima forma di tutela grazie alla quale ciò che prima era solo un "bisogno" indistinto ha ricevuto un riconoscimento giuridico.

Ogni cambiamento, anche se necessario, non può quindi prescindere dalla memoria. Nella riforma preoccupa il rischio di una burocratizzazione mentale del magistrato, reso timoroso dalla struttura gerarchica, non più "educato" al valore delle decisioni frutto di studio ed elaborazione, interessato solo a mantenersi negli ambiti rassicuranti di una giurisdizione senza qualità. Un magistrato, quindi, che non cerchi la decisione più giusta, ma quella che meglio si adegui all’esistente e non turbi equilibri cristallizzati.

L’organizzazione giudiziaria dovrebbe, invece, tendere alla formazione del magistrato, spingendolo alla ricerca, alla visione profonda della realtà, alla decisione che contiene in sé il rigore logico e il coraggio dell’innovazione critica.

Una comunità evolve e progredisce grazie anche allo sforzo culturale di una magistratura che sappia muoversi in quella trincea etica in cui la coscienza istituzionale riconosce disarmonie e squilibri, e agisce per porvi rimedio con senso del limite e la sola forza delle buone ragioni.

*Giudice penale

Tribunale di Pesaro