"Vi farò ridere anche della morte"

Intervista a Moni Ovadia che sabato 15 ottobre sarà ospite del Kum Festival quest’anno dedicato al fine vita

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È il fine vita il tema intorno a cui ruoterà la nuova edizione di ‘KUM! Festival’, da venerdì 14 a domenica 16 alla Mole di Ancona. La rassegna ideata dallo psicoanalista Massimo Recalcati accoglierà ben 57 ospiti, che declineranno l’argomento secondo le proprie competenze e idee. Potrebbe sembrare inopportuno dirlo, ma sabato (ore 19) ci sarà (anche) da divertirsi. Merito di Moni Ovadia, protagonista dell’evento speciale ‘Morire dal ridere’. Un’espressione che, nel mondo ebraico, acquista un significato speciale. "Gli ebrei hanno capito che l’umorismo è una visione del mondo – spiega Ovadia –. Già Wittgenstein disse che oggi ’un serio saggio filosofico dovrebbe essere un libro di barzellette’. Anche io volevo scriverne uno. Lo intitolerei: ‘Per una critica della ragione umoristico – paradossale’".

Sense of humour ed ebrei. Un binomio inscindibile. Basti pensare a Groucho Marx e Woody Allen, per citare due geni assoluti.

"L’umorismo è servito al mondo ebraico ad affrontare le questioni più tragiche. E’ la capacità di guardare la vita e la realtà cogliendone sempre l’aspetto paradossale, assurdo. Anche se si tratta di morte. A un cristiano, a un imam e a un rabbino viene chiesto quale discorso funebre vorrebbero sentire al loro funerale. Il primo dice: ha amato il prossimo e ha aiutato i più disagiati. L’imam dice: è stato il più devoto interprete della parola di Allah. Il rabbino dice: guardate, si sta muovendo!’".

Certo che non è facile ridere della morte...

"Eppure la vita ha un senso perché finisce. Bisognerebbe considerarla come una parte del percorso di vita. Sull’aldilà l’ebraismo non dice nulla di particolare. E’ semplicemente ‘il mondo che verrà’. Ma nel Talmud è scritto che un’ora nell’aldilà è meglio di tutta una vita, ma che un’ora di buone azioni nella vita è meglio di tutto il tempo passato nell’aldilà".

Un vero inno ‘etico’.

"Tutte le regole dell’ebraismo servono a santificare la vita. E’ un costante invito a vivere una vita degna, carica di senso. Se ci si riesce si avrà anche una buona morte".

Su cui però gli ebrei non perdono occasione di scherzare.

"Le racconto questa. Un ebreo chiede un prestito a una banca per costruire delle villette, e all’inizio ha successo. Le cose però iniziano ad andare male. Allora il direttore gli dice: guardi che prima o poi i nodi verranno al pettine. E lui: con un po’ di fortuna potrei morire prima. Oppure questa: due mendicanti vanno a un cimitero di Parigi. Passando di fronte a un gigantesco monumento funebre uno dice all’altro: questa sì che è vita". Ma è il classico voler esorcizzare la morte?

"E’ cogliere la realtà su un altro piano. Non solo. L’ebreo non deve mai cadere nell’idolatria. Neppure in quella della morte. In realtà queste storielle sono tutte spasimi di vita. Quando Dio annuncia il diluvio universale il papa dice: è il risultato dei nostri peccati. L’imam dice: è la volontà di Allah, dobbiamo accettarla. E il rabbino: il diluvio è fra un mese. Abbiamo trenta giorni per imparare a vivere sott’acqua".

Raimondo Montesi