"Ora è certificato che sono diventato allenatore. Di questo mondo ci prendiamo il buono e il cattivo": breve e conciso, come è sempre stato nelle sue conferenze stampa in questi due anni. Al Resto del Carlino, Gianluca Colavitto commenta in modo telegrafico il suo esonero da tecnico dell’Ancona: pochissime parole, semplici, ma molto chiare. Perché questo è Colavitto, nella vita come davanti alle telecamere. Nel suo biennio ad Ancona e, ancor prima a Matelica, si è sempre contraddistinto per il suo realismo e la sua genuinità, senza mai vendere fumo agli occhi di nessuno. Nel calcio professionistico ci è entrato in punta di piedi, da perfetto sconosciuto e gara dopo gara, ha gradualmente conquistato il rispetto degli addetti ai lavori. Perché è soprattutto grazie a lui se l’Ancona oggi può dire di essere tornata nel professionismo dopo anni bui passati a collezionare partite anonime lungo i campi dilettantistici della regione: già, perché se non avesse portato il Matelica per la prima volta in Serie C nel 2020 (il tecnico prese una squadra invischiata in zona retrocessione ad ottobre 2019 per poi condurla alla vittoria del campionato nell’anno del Covid, ndr), la società dorica non avrebbe mai potuto fregiarsi del ritorno tra i pro dopo quello storico cambio di denominazione avvenuto nell’estate 2021. Colavitto non solo è stato capace di portare in Serie C la squadra di una piccola città del Maceratese, ma anche di ergerla a sorpresa assoluta del campionato di terza serie 2020-21, portandola addirittura ad eliminare ai playoff formazioni storicamente più blasonate come Sambenedettese e Cesena: se così non fosse stato, probabilmente l’Ancona avrebbe dovuto aspettare ancora qualche anno per tornare in C. La piazza dorica è stata la prima grande dimensione con la quale si è dovuto confrontare Colavitto, fino a quel momento acerbo in quanto a palcoscenici di un certo spessore. I risultati ottenuti nel suo primo anno all’ombra del Conero sono sotto gli occhi di tutti: un sesto posto raggiunto con una squadra giovane e che ai nastri di partenza godeva di ben poca considerazione ma che, giornata dopo giornata, si è guadagnata il rispetto di tutti, tifosi e avversari compresi. Una formazione che ha sempre fatto divertire, con i tre attaccanti mandati tutti in doppia cifra, esattamente come l’anno precedente a Matelica. Quest’anno, un cammino fatto di alti (pochi) e bassi (molti), con una squadra che in due mesi sta dilapidando quanto di buono fatto nelle gare precedenti. Nel calcio, si sa, a pagare per gli scarsi risultati sono sempre gli allenatori e anche stavolta è stato così: il perché di questa flessione magari sarà lo stesso Colavitto a spiegarcelo un giorno (se vorrà), ma quel che possiamo augurargli ora è di staccare un po’ la spina e di ricaricarsi in vista della prossima avventura. Che, ci auguriamo, sia ancora in serie C: perché un tecnico, ma soprattutto un Uomo come lui, se lo merita, per la dedizione e lo spirito di sacrifico che ha sempre messo a partire dai suoi primi anni in panchina. Perché il calcio di oggi ha bisogno di persone come Gianluca Colavitto.
Gianmarco Minossi