Fabrizio oggi è Valentina: "E sogno Tokyo"

Ai tricolori paralimpici di atletica ad Ancona anche Petrillo: ipovedente, è la prima azzurra transgender che può qualificarsi per le Olimpiadi

Valentina Petrillo

Valentina Petrillo

Ancona, 22 gennaio 2021 - I campionati italiani paralimpici di Ancona, in programma oggi e domani, sono destinati a passare alla storia. Prima uscita indoor, in campo femminile, per l’atleta transgender T12 Valentina Petrillo. Nata a Napoli il 2 ottobre 1973, Valentina, fino a tre anni fa, era Fabrizio, capace di vincere 11 titoli italiani, far parte della nazionale italiana di calcio e ottenere il pass per i Giochi di Atlanta, nel 1996. Nel 2015 Fabrizio diventa papà di Lorenzo, l’anno dopo si sposa con Elena. Due anni fa, come ci racconta, Valentina fa outing e intraprende un percorso e una terapia ormonale, sotto controllo medico, che l’hanno portata a questo cambiamento.

"Sono nata a Napoli – racconta Valentina –. In terza media mi sono accorta di avere difficoltà nella lettura. La diagnosi è degenerazione maculare ereditaria. E divento ipovedente".

Così nel 1994...

"Mi trasferisco a Bologna, studio informatica all’istituto Cavazza. E a Bologna, a parte una breve parentesi a Milano, abito ormai da quasi trent’anni".

La folgorazione, nel 1980, con Pietro Mennea.

"Già, le Olimpiadi di Mosca, Mi appassiono alle gare di velocità, 100 e soprattutto i 200. E comincio a correre".

Come Fabrizio si sente inadeguato. Ma tiene tutto dentro, fino a quando non fa outing.

"Nel 1996 avrei potuto andare alle Paralimpiadi di Atlanta. Ma non mi sentivo in sintonia. Così, due anni fa, ho intrapreso un percorso psicologico e una terapia ormonale che mi hanno portato ad abbassare il livello di testosterone. Non è stato facile".

Anche accettare la trasformazione in gara.

"Il primo mese sono ingrassata. Sono aumentata di 10 chili. Facevo fatica a correre, uscire dai blocchi. I miei tempi si sono modificati. Sono peggiorati. Però vivevo come Valentina e questo mi dava più serenità".

Il cambiamento, però, non poteva passare inosservato.

"Anche perché ho sempre tenuto tutto nascosto. Avevo una cugina, trans, che fu cacciata di casa. Nel 2018 sono uscita allo scoperto. Papà Edoardo e mio fratello Francesco all’inizio non l’hanno presa bene. Poi papà capisce, reagisce e ora mi sostiene. Adesso con mio fratello abbiamo ricominciato a parlare".

Sua moglie Elena l’ha appoggiata. E il piccolo Lorenzo?

"Il mio non era un capriccio. Avevo soffocato per troppo tempo la mia personalità. Così, alle domande di Lorenzo, abbiamo provato a dare risposta".

Sul lavoro?

"Non ci sono stati problemi. I colleghi hanno compreso. E mi hanno accettato".

Le amicizie?

"Perse, praticamente tutte. Non vogliono avere a che fare con me. Uno dei miei migliori amici, quando gli ho detto il percorso che volevo intraprendere, s’è messo a piangere. Ho provato richiamarlo. Mi ha detto che non riesce a vedermi così. Devo combattere contro tanti pregiudizi".

A Bologna.

"A Bologna e in pista mi hanno capita. Prima gareggiavo per la Francesco Francia, ora per la Pontevecchio".

Ma proprio nessuno, prima di tre anni fa, avrebbe potuto intuire quello che avveniva dentro di lei?

"No, ho tenuto tutto dentro. Se mi passate la battuta, potevo essere considerato uno str... maschilista".

Adesso è Valentina.

"Meglio donna più lenta e felice, che uomo veloce e triste".

La sua storia diventerà anche un film.

"Sì, sarà un docu-film: 5 nanomoli, il sogno olimpico di una donna trans, per documentare il mio percorso".

Poi ci saranno le paralimpiadi.

"Dissi no nel 1996 ad Atlanta, non mi sentivo in armonia con me stessa. Ora è diverso. Se arriverò a Tokyo, ottenendo i tempi previsti, lo farò come Valentina. Consapevole del percorso affrontato, seguita da sanitari e dal Mit, movimento identità transessuali. Prima stavo male. Adesso no. Non ho più bisogno di nascondermi né provare paura. Sono Valentina e potrei essere la prima atleta trans a rappresentare l’Italia ai Giochi".