Expo Dubai, le eccellenze dei territori in vetrina

Immagini, suoni, rumori, profumi: così il padiglione Italia racconta il ’saper fare’ del nostro Paese

Expo Dubai

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Gli stereotipi, a queste latitudini, è meglio lasciarli perdere. Perché qui, inevitabilmente, si guarda alla sostanza. E perché il palcoscenico globale non ammette luoghi comuni o dozzinale pressapochismo. Lo sanno istituzioni e aziende partner del Padiglione Italia a Expo Dubai 2020. E lo sanno altresì i tantissimi visitatori (molto consapevoli e interessati) che a migliaia hanno preso d’assalto la ’nostra casa tricolore’ in questa primi dieci giorni di esposizione universale. Dignatari (spesso in forma privata e in altre occasioni annunciati e ricevuti dal Commissario per la partecipazione del nostro Paese, Paolo Glisenti) e gente comune (emiratina e non) hanno passeggiato in mezzo al bello e al buono della vetrina internazionale italiana, attratti dalla ’bellezza che unisce le persone’, ma anche dal ’saper fare’, due claim che contraddistinguono la missione del Bel Paese. Un ’saper fare’ che è il biglietto da visita delle 15 regioni protagoniste a Expo Dubai e che rappresenta il vero racconto dell’Italia. Un racconto fatto di immagini, suoni, rumori, profumi.

E si vedono, infatti, soprattutto le mani nel bel film diretto dal premio Oscar Gabriele Salvatores. Sono le mani del made in Italy che tutto il mondo ci invidia. Quelle stesse che, in Basilicata, azionano i macchinari in un’industria dell’automotive e che afferrano il peperone crusco raccogliendolo dalla pianta e adagiandolo infine nel barattolo attraverso un viaggio che affonda le sue radici nella storia di un popolo. Stesso dicasi per il miele. Ma le mani sono protagoniste anche tra gli operai della Motor Valley in Emilia Romagna che si presenta alla prima esposizione negli Emirati Arabi raccontando un altro simbolo dell’agroalimentare italiano, ovvero l’aceto balsamico di Modena. La narrazione è scandita da due temi cardine: eccellenza e qualità. Prodotti che poi rendono l’Italia riconoscibile in ogni angolo del pianeta. Il riferimento alla pizza è solo uno dei tanti, ma a fianco al prodotto ’da export’ per eccellenza insieme alla pasta, vi sono esempi di agroalimentare antico ma che sono contemporanei nella cucina di oggi come la colatura di alici siciliana, riscoperta e valorizzata al pari di tante meraviglie del palato che da ogni territorio arrivano nel piatto e sulle tavole.

Il buon cibo e il buon bere, se mai ci fosse stato bisogno di riaffermarlo, sono cose serie. Non sarà un caso se nel Padiglione tricolore è presente un ristorante che può vantare un “capocuoco” da tre stelle Michelin: Niko Romito che da Castel di Sangro – dove il suo Reale di recente è stato inserito tra i migliori 50 ristornati del mondo – porta i sapori della terra natia per farli toccare a emiri e visitatori. Cose serie appunto. E come tali vanno trattate. Ne sa qualcosa il professor Davide Rampello, direttore artistico del Padiglione Italia, regista e sempre più innamorato del meglio che il nostro Paese sa regalare ben oltre i suoi confini. Lui sa bene che tutto ha inizio dal Belvedere che in forma plastica ha le sembianze di un grosso cono realizzato con la tecnica del muro a secco (foto grande). Da qui, nel cuore del Padiglione Italia, si irradia un messaggio che non è solo economico. Tutt’altro. È un messaggio di storia e contaminazione dei popoli, il grande valore aggiunto nell’italica natura di mixare vecchio e nuovo. Approccio quanto mai indispensabile ai giorni nostri e in questa fase di delicata transizione postpandemica.

"Tutto comincia dall’inizio – afferma Rampello osservando il Belvedere dalla passarella che disegna il percorso dei visitatori –. E l’inizio è da questi muri a secco con tutte le varietà di piante sulla sommità. Un’opera fatta da Mastro Bernardo di Alicudi e realizzata con le ’sue’ pietre. Il muro a secco è ovunque nel nostro Paese. E ovunque contraddistingue un tipo di coltura diversa, un territorio diverso. L’Italia è stata una terra in cui si sono succedute tantissime culture diverse. Gli italiani – insiste il professor Rampello – hanno saputo assorbire tutte queste culture. E adattarle al saper fare con intelligenza. Quella stessa che prerogativa indispensabile per far crescere il pomodoro ’pizzutello siccagno’ alle falde dell’Erice in un luogo arido. Però a questa specie di pomodoro non serve acqua, di notte i contadini avevano capito che scavando un piccolo solco intorno alla pianta avrebbero potuto recuperare l’umidità necessaria per farlo crescere. Ma l’Italia non ha rivali nemmeno nella produzione casearia ad esempio. Non a caso ha il più grande patrimonio di vacche autoctone e di conseguenza una varietà di formaggi che non ha eguali". Varietà che fa rima con qualità anche nella sostanza. "Noi – sostiene Rampello – non abbiamo quantità ma abbiamo grande varietà. E dunque qualità. Il piccolo oggi è prezioso. Bisogna trovare i mercati giusti e poter vendere i prodotti preziosi al giusto prezzo". E poi il tema chiave della missione italiana, la sostenibilità. Che, ribadisce il professor Rampello "ha le sue radici nella circolarità. Attenzione! Il contadino non ha mai sprecato e dunque la circolarità è sempre esisitita. Con la rivoluzione industriale l’uomo ha rotto quel patto sacrale con la Natura che oggi va ritrovato. Al contempo – chiude – l’Italia è all’avanguardia nella tracciabilità e anche come modello agrario è il più sostenibile". Certo non una cosa da poco, se all’attenzione per l’ambiente si coniugano tutti gli aspetti necessari per stare al passo con il tempo.

Come l’azienda Lavazza che al Padiglione Italia ha una postazione (foto a sinistra) dove far gustare il meglio delle miscele brasiliana o colombiana e anche una straordinaria meraviglia ingegneristica, una macchina da caffe in versione vintage ma alimentata dai pannelli solari. Il caffè appunto. Con i cui fondi sono state realizzate, tra l’altro, le passerelle del percorso di ’casa Italia’. Perché qualità, da oggi più che mai, fa rima con circolarità e sostenibilità. In puro ’italian style’.