Morto nel pozzo, la madre accusa la figlia

La vedova di Giuseppe Pedrazzini, 77 anni, al pm: "Ho trovato agonizzante mio marito, lei e mio genero hanno gettato il cadavere in acqua"

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di Alessandra Codeluppi

TOANO (Reggio Emilia)

Ora un muro invalicabile divide la famiglia. E la spacca, in un prima e un dopo che potrà avere importanti conseguenze investigative. Lo ha eretto lei, Marta Ghilardini, 63 anni, moglie del 77enne Giuseppe Pedrazzini, ritrovato morto nel pozzo vicino alla sua casa di Cerrè Marabino (Toano), sull’Appennino reggiano. Dall’altra parte c’è la loro figlia Silvia, 37 anni, insieme al marito 42enne Riccardo Guida. Tutti e tre risultano indagati per omicidio, sequestro di persona, soppressione di cadavere e anche truffa, per la pensione dell’uomo che avrebbero percepito sapendo che lui non c’era più. Ma se fino a ieri il fronte delle difese appariva compatto, ora si è sgretolato: la donna ha accusato figlia e genero, fornendo una ricostruzione circostanziata di quanto sarebbe avvenuto fino al giorno della morte, che ora dovrà trovare conferma nelle indagini.

Il giallo nasce dopo la denuncia di alcuni parenti di Pedrazzini, che da mesi cercavano invano di mettersi in contatto con l’uomo. Tante le anomalie e le contraddizioni: dall’allontanamento del 77enne – mai denunciato da moglie, figlia e genero – al ritrovamento del corpo nel pozzo, sotto una pesante copertura di pietra. Marta ha confermato ieri al pm le dichiarazioni rese sabato ai carabinieri di Castelnovo Monti, lanciando pesanti accuse a figlia e genero. Da quanto trapela, avrebbe raccontato che il marito Giuseppe sarebbe stato segregato in casa da gennaio fino all’8 marzo, data in cui lei colloca la sua morte. Secondo la sua versione, quel giorno la donna sarebbe uscita per fare la spesa, per trovare al rientro il marito agonizzante, poi morto in casa tra le sue braccia. Figlia e genero avrebbero avvolto il cadavere con un lenzuolo, lo avrebbero trasportato e buttato nel pozzo, richiudendolo con la lastra di pietra, di oltre cento chili, abitualmente usata per evitare cadute accidentali. Infine avrebbero nascosto il telo pare dentro un fienile. Se si sia trattato di un delitto, lo potrà confermare anche l’autopsia. L’avvocato difensore, Rita Gilioli, non entra nel merito delle dichiarazioni: "È una donna provata: sta male perché le è morto il marito. Si è sentita calunniata dai parenti, anche dopo i funerali". Figlia e genero finora si sono detti innocenti. Li tutela l’avvocato Ernesto D’Andrea che ha dichiarato: "Aspettiamo di leggere gli atti".