Ascoli Calcio, non è colpa di Padella…

Il gol dell’ex capitano chiude un cerchio che è contemporaneamente legittimo e malefico.

Massimo Pulcinelli, patron dell'Ascoli Calcio

Massimo Pulcinelli, patron dell'Ascoli Calcio

Ascoli, 19 dicembre 2020 - “Complimenti eh, non meritavate di perdere”. “Ciao, vedrai, se continuate così, un paio di ritocchini e riprenderete la marcia”. “Certo che oggi, con un po’ di fortuna…”. Sapete cosa sono queste, nel calcio? Scuse. Scuse che non servono a nulla. Nel calcio, vince chi va in campo per vincere. E mette il cuore, la testa, l’impegno, la strategia, le energie, tutto se stesso per arrivare ad un risultato.

FOSSA. Ora, ammettiamo che la prestazione dell’Ascoli di oggi a Vicenza non avrebbe meritato un ritorno senza punti nella borsa, ma è veramente la prestazione quello che legittima, il risultato, in un campionato come quello di serie B? Scusateci se pensiamo di avere la presunzione di possedere la risposta a questa domanda. Questa risposta è “no”. Con la prestazione e i dettagli curati al massimo potenziale, arrivi al risultato. Con la prestazione senza curare i dettagli, spesso o quasi sempre, perdi. Con la prestazione per soli venti minuti, un dettaglio “positivo” e un dettaglio “negativo” nel finale, perdi come col Vicenza. E’ questo che l’Ascoli deve capire anzitutto, se vuole tirare fuori la testa da questa che ormai non è più una palude ma una vera e propria Fossa delle Marianne.

ORIALI. Siamo sinceri: vedere che una squadra in difficoltà si rivolge a Delio Rossi, uno dei più autorevoli tecnici non solo liberi sul mercato, ma addirittura (a nostro avviso) tra i venti allenatori più affidabili degli ultimi quindici anni del nostro calcio, apriva all’ottimismo. Ma vedere che una squadra si rivolge a Delio Rossi e va a giocarsi una partita come quella di oggi col Vicenza nel modo in cui ha giocato fino alla punizione di Sabiri, è deprimente, è calcisticamente offensivo. Non c’è nulla di Ascoli e dell’Ascoli in quei sessantacinque minuti. Non c’è qualità. Non c’è quantità. Non c’è identità. Non c’è organizzazione difensiva. Né offensiva. Ci sono solo alcuni operai ligi al dovere contrattuale che fanno il loro e che mai, sottolineiamo, mai, gettano il cuore oltre l’ostacolo per colmare un gap ormai troppo evidente. Parentesi a parte per Leali (non ricordiamo una sua “papera”), Sabiri (uno che ne fa cento, ne sbaglia novantanove, ma quella che azzecca cambia la storia della partita) e Bajic (la nuova versione della “vita da mediano lavorando come Oriali”, al netto del fatto che sarebbe un centravanti con un senso del gol anche misurato). Gli altri non solo denotano lacune tecniche e tattiche, che possono ovviamente essere scusate, essendo giocatori di serie B. Ma soprattutto di attenzione. Come si fa ad essere anticipati, dieci minuti dopo essere entrati in campo dalla panchina, su un pallone che spiove in area arrivando da venti metri? Per di più a un passo dall’area piccola. Al minuto novantatre. Sull’1-1, in una partita cruciale. E come si fa a non anticiparlo e farlo volare via, quel pallone?

VITA. Signori, dite quello che volete. Che l’Ascoli a Vicenza non meritava di perdere per quanto visto sul terreno di gioco. E noi vi rispondiamo il contrario. Sono i dettagli nei momenti clou che fanno la differenza. Ed è per questo, per salvaguardare questo fantastico dogma, è giusto che a segnare quel gol, in quel modo, in quel momento, sia stato proprio Capitan Emanuele Padella. Senza identità non si va da nessuna parte nella vita. Figuriamoci nel calcio…